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15.2.07

Già che si parla di ebrei assassini


Nell'anniversario della fondazione della Ceka, ormai passato da un paio di mesi, Steve Plocker, su Yediot Aharonot ci invita a ricordare quanto poco la Russia abbia fatto i conti col suo passato staliniano, a differenza di quanto è avvenuto nei paesi dell'Est.

Ci ricorda anche qualcosa di più sgradevole, e che pure è stato pesantemente utilizzato dalla propaganda antisemita del passato. E cioè che alcuni dei più grandi assassini della storia sono stati ebrei.
Terribilmente sgradevole. Una storia che nessuno di noi ama sentire. Motore di persecuzioni terribili anche in questo caso. Ma, quantomeno, vero.

And us, the Jews? An Israeli student finishes high school without ever hearing the name "Genrikh Yagoda," the greatest Jewish murderer of the 20th Century, the GPU's deputy commander and the founder and commander of the NKVD. Yagoda diligently implemented Stalin's collectivization orders and is responsible for the deaths of at least 10 million people. His Jewish deputies established and managed the Gulag system. After Stalin no longer viewed him favorably, Yagoda was demoted and executed, and was replaced as chief hangman in 1936 by Yezhov, the "bloodthirsty dwarf."

Yezhov was not Jewish but was blessed with an active Jewish wife. In his Book "Stalin: Court of the Red Star", Jewish historian Sebag Montefiore writes that during the darkest period of terror, when the Communist killing machine worked in full force, Stalin was surrounded by beautiful, young Jewish women.

Stalin's close associates and loyalists included member of the Central Committee and Politburo Lazar Kaganovich. Montefiore characterizes him as the "first Stalinist" and adds that those starving to death in Ukraine, an unparalleled tragedy in the history of human kind aside from the Nazi horrors and Mao's terror in China, did not move Kaganovich.

Many Jews sold their soul to the devil of the Communist revolution and have blood on their hands for eternity. We'll mention just one more: Leonid Reichman, head of the NKVD's special department and the organization's chief interrogator, who was a particularly cruel sadist.

In 1934, according to published statistics, 38.5 percent of those holding the most senior posts in the Soviet security apparatuses were of Jewish origin. They too, of course, were gradually eliminated in the next purges. In a fascinating lecture at a Tel Aviv University convention this week, Dr. Halfin described the waves of soviet terror as a "carnival of mass murder," "fantasy of purges", and "essianism of evil." Turns out that Jews too, when they become captivated by messianic ideology, can become great murderers, among the greatest known by modern history.

The Jews active in official communist terror apparatuses (In the Soviet Union and abroad) and who at times led them, did not do this, obviously, as Jews, but rather, as Stalinists, communists, and "Soviet people." Therefore, we find it easy to ignore their origin and "play dumb": What do we have to do with them? But let's not forget them. My own view is different. I find it unacceptable that a person will be considered a member of the Jewish people when he does great things, but not considered part of our people when he does amazingly despicable things.

Even if we deny it, we cannot escape the Jewishness of "our hangmen," who served the Red Terror with loyalty and dedication from its establishment. After all, others will always remind us of their origin.

1.9.06

L'inviato vaticano all'attacco dei "Cristiani Sionisti"

L'inviato vaticano in terra santa (il patriarca Sabbah), insieme ai rappresentanti di altre chiese, ha lanciato un attacco inusitato al movimento dei Cristiani Sionisti:

La dichiarazione sostiene (testuale): "Il movimento dei Cristiani Sionisti produce una visione del mondo dove il Vangelo si identifica in ideologia imperiale, coloniale e militarista

[...]

Rigettiano gli insegnamenti del Sionismo Cristiano, che facilitano e sostengono questo tipo di politiche, e promuovono esclusivismo razziale e guerra perpetua"

Aggiornamento dopo i commenti

Ho avuto molti dubbi se pubblicare o meno questo post, in quanto so che la maggior parte di chi segue questo blog è cattolica e amica di Israele. E in ogni caso non è mia intenzione creare divisioni e conflitti laddove non ci sono.

Aggiungo che la mia simpatia per il movimento dei "Cristiani Sionisti", o quantomeno per quanto so della sua visione della storia, è molto limitato, in quanto non sento particolare fretta di vedere gli ebrei alla battaglia di Gog e Magog.

Ciò detto, se è vero che molti cattolici sono amici di Israele, è anche vero che i rapporti tra Chiesa Cattolica e stato di Israele sono stati per lunghissimo tempo inspiegabilmente pessimi, e non per volontà di Israele.

Su alcuni dei rappresentanti vaticani in Israele e territori, stendo poi un pietoso velo.

Sono stato in dubbio se pubblicare, ma per onestà, vista la dichiarazione devo farlo. E' quella ad essere fortemente ambigua. Ed è monsignor Sabbah (e i cofirmatari) a giocare con le parole.

Questo a meno che qualcuno mi mostri che la dichiarazione, così come l'ho vista pubblicare sui giornali è mal presentata e contiene invece parti che mostrano che il dibattito è esclusivamente teologico e che le note infiammatorie sono dirette alle credenze dei CS e non a politiche reali, temute, possibile dello stato di Israele.

Questo, dal blog di Monsignor Sabbah è il testo integrale della dichiarazione.

Che il documento sia contro CS è quello che ho preventivamente scritto nel post, in ogni caso. Ma per la verità, visto che ci parliamo senza infingimenti, non ne sono estremamente sicuro.

19.6.06

Uno Shabbat a Karlovy Vary

Sorridi, sei sul TBLOG

Di tanto in tanto mi capita di trovarmi a Karlovy Vary. Col suo nome tedesco di Carlsbad fu una località termale aubsburgica, poi diventata cecoslavacca. Fu sede di una numerosa e fiorente comunità ebraica fino al 1937, quando, durante la crisi dei Sudeti, tutti gli ebrei locali lasciarono in fretta la città. E a buona ragione, visto chela sinagoga monumentale di fronte alla quale avevano stazionato le carrozze dei Becher e dei Moser fu immediatamente data alle fiamme e distrutta, nel 1938.

La comunità è stata ricostituita dopo la guerra. Stavolta molto poco numerosa e ancor meno fiorente. E, come tutti i cittadini (ma forse un po' di più) ha dovuto sopportare la lunga parentesi grigioferro del regime comunista, che per circa cinquant'anni le ha impedito di avere un rabbino. Oggi, Karlovy Vary è un incantevole e coloratissima località di villeggiatura e se non fosse per qualche cicatrice architettonica che non sfugge ad un occhio allenato, sembrerebbe aver vissuto secoli di spensierata e ininterrotta felicità. Giù in basso, lungo il torrentello che divide la deliziosa cittadina, è addirittura pieno di frecce che indicano "Synagogue", con un indirizzo. E' uno dei segni di simpatia per la sparuta comunica ceca che il regime democratico di Havel ha voluto lasciare, in contrasto con la politica silenziosamente ma inequivocabilmente antisemita del vecchio regime comunista.

E' anche marketing azzeccato, pensavo, visto che la cittadina mitizzata in tutto il vecchio mondo sovietico come destinazione dei più prestigiosi viaggi premio della nomenklatura, pare oggi frequentata da numerosi israeliani (ex-russi?), almeno a giudicare dai cartelli con il cambio in Shekel, da qualche gioiello ebraico in vetrina accanto a quelli cristiani, dalla enorme Hannukkiah d'argento ben lavorato che si vede nella vetrina di un gioielliere del centro.

Un giorno di qualche anno fa seguendo le indicazioni delle frecce, mi sono inerpicato sulla collina dietro a quel dinosauro di regime chiamato Hotel Thermal: un monoblocco di cemento armato in stile comunista-babilonese al cui confronto gli ecomostri pugliesi appaiono come gioielli di Le Corbusier. Ecco, solo due lunghe curve più su, appena all'interno del bosco c'era un palazzetto di cemento un po' triste ma decoroso, con una bella insegna blu in ebraico che nel frattempo ho imparato a leggere: "Beit Knesset". Avevo dato un'occhiata dentro: oltre ad ospitare uffici e gabinetti medici, era anche la sede piuttosto frugale ma spaziosa della ricostituita comunità ebraica: da un lato c'erano gli uffici, dall'altro l'ingresso alla sala del Tempio. Era un giorno feriale ed ero salito solo per curiosare e così me ne ero andato senza parlare con nessuno, pensando che prima o poi ci sarei tornato in un momento più favorevole.

L'ho fatto questo Shabbat. Era il giorno giusto per essere lì. Avevo la perfetta congiunzione astrale per mollare clienti e soci ai loro festeggiamenti sportivi e così mi sono alzato un po' più presto di quello che amerei fare di sabato. Ignorando il grado di osservanza della locale comunità, ma supponendolo non ossessivo, ho preso lo zainetto e ci ho messo dentro il tallet (già che porto, mi porto almeno un tallet della mia misura, ho pensato), una Torah Di Segni (ovvero con la preziosa traduzione in italiano). Ho invece lasciato nella camera d'albergo il siddur. Ormai sono abbastanza in grado di seguire un servizio ortodosso in ebraico nei vari riti. E il mio libro di preghiere reform immaginavo non sarebbe stato di alcuna utilità per districarmi nel puro shachrit shabbat ashkenazita che pregustavo con piacere. Avrei in ogni modo trovato al tempio tutto quello che poteva tornarmi utile.

Ho ripercorso quasi a colpo sicuro i passi che avevo mosso con qualche esitazione topografica anni fa. Anzi, ho trovato d'istinto una scorciatoia nel boschetto che mi ha permesso di risparmiare un tornante piuttosto lungo e così, molto prima di quanto mi aspettassi, mi sono ritrovato di fronte al palazzetto che ricordavo. Ancora un po' più triste, questa volta, perché della scritta "Beit Knesset" era rimasta solo la prima metà: la seconda parte dell'insegna persa chissà dove.
Ho salito in perfetta solitudine i pochi gradini di graniglia, percorrendo con la mano la ringhiera su cui fioriva un po' di ruggine, ma non troppa. Tutto sommato in armonia con lo stato della costruzione. Sotto la piccola tettoia in cima alla scaletta, accanto al portoncino di metallo e vetro in stile condominiale, mi sono fermato a guardare la bacheca di vetro. Il calendario ebraico era aggiornato, i cartelli erano sempre al loro posto. Bene. Mi sono sentito sollevato dalla strana sensazione che la quiete forse eccessiva aveva cominciato a procurarmi senza che me ne accorgessi. Ero salito indossando la kippah attraverso i sentieri che dal Thermal attraversavano il boschetto e in quell’ora che, dopo tutto, era in quasi ogni sinagoga del mondo l’inizio di shachrit shabbat, non avevo incontrato nessuno che sembrasse diretto come me alla sede della Comunità. Ora però, davanti al calendario con gli orari di accensione delle candele, del tallet, dello shemà, tutto sembrava tornare a posto.

Il portoncino era chiuso. Non si tirava, non si spingeva, La maniglia non girava. No, era assolutamente e inequivocabilmente chiuso. Chiuso su un palazzetto inanimato. Ero fuori dalla sede in cui non si intuiva vita, se non un calendario ebraico, che ho ricontrollato, trovandolo di nuovo perfettamente aggiornato, e un posacenere a colonna sotto la tettoia, inzeppato di mozziconi. Era troppo presto? Forse, per quanto strano, le abitudini della comunità locale erano improntate ad una lentezza di messa in moto mattutina che non mi era ancora capitato di incontrare al di fuori della mia comunità.

Però il calendario ebraico era aggiornato. Segno di vita forse non vivacissima, ma inequivocabile. Non era il caso di perdere la fiducia. Spalle al portoncino mi sono fermato ad ammirare il bosco che scende verso il torrentello, perdendomi nei puntini rosa gialli e azzurri degli edifici teresiani che lo costeggiano, e dove tra poche ore si sarebbe svolta la gara di canoe, ragione della mia presenza in città.

Non so quanti minuti erano passati quando alle mie spalle ho sentito una voce amica: "Shabbat shalom!". Un omone, suppergiù delle mie dimensioni che al posto della kippah indossava un copricapo di lana grezza che a occhio definirei tagiko, mi stava invitando ad entrare nel portoncino. Avevo fatto bene a non andarmene. "Shabbat shalom", gli ho risposto tendendogli la mano, in quella che sarebbe rimasto l'unico scambio verbale articolato di quella strana mattinata. Mentre cercavo di informarmi sull'orario d'inizio di shachrit, è stato immediatamente chiaro che eravamo divisi sia dall'ebraico colloquiale, che dal russo, che dall'inglese, che dall'italiano, nessuno dei quali raggiungeva il numero minimo di parlanti necessario alla comunicazione.

Sono entrato nel tempio, che l'uomo mi aveva spalancato con grande cortesia. Ero assolutamente solo: la bimah davanti, la mechitzah alle spalle, l'aron di fronte, le pareti tappezzate di libri, grandi tavoli per lo studio. Il neir tamid acceso. Talleisim a forti strisce nere e blu, appoggiati un po' dappertutto, specialmente sulle ringhiere della bimah. L'uomo mi aveva lasciato lì, ancora una volta da solo.

Come prima cosa, ho cominciato a curiosare tra i siddurim e i chumashim. Un po' per vedere che cosa si offriva al pubblico che immaginavo estremamente cosmopolita di quella sinogaga, un po' per procurarmi qualcosa di utile, magari con traduzione in qualche lingua conosciuta, che mi guidasse attraverso i salti e le svolte brusche che i chazanim non si fanno mai mancare, nel tentativo di scrollarsi di dosso e seminare lungo il servizio il resto del minyan. E certamente me.

La scelta è caduta su un siddur un po' consunto, stampato a New York nel 1959, e di apparente impostazione conservative, visto che la beracha "lo assanì ishah" (ma non le altre) era stata sostituita da altra più palatable. E in quel siddur, di nuovo, mi sono perso per un tempo che non saprei determinare.

Ammiravo la legatura, provata dall'uso ma ancora solida, la copertina dai margini sfilacciati che lasciavano apparire il cartone sotto la tela blu scura e le pagine, che erano state percorse innumerevoli volte fino a raggiungere uno stato quasi traslucido. Cercavo soprattutto di identificare i punti salienti del servizio, capire la struttura non razionalissima che era stata
data al libro: un approccio cervellotico che -mi era chiaro- mi avrebbe costretto di lì a poco a saltare avanti e indietro per le pagine, col rischio di perdermi in modo definitivo e irrimediabile.

Dopo un tempo imprecisato di immersione e concentraziome, ho sentito tornare l'omone che mi aveva aperto. Mi ha guardato per un attimo dalla porta del tempio e vedendomi assorto nello studio, se n'è andato una seconda volta, e non saprei dire dove si sia diretto. Ormai, a quell'ora, persino la mia sinagoga sarebbe stata brulicante di attività. Ho deciso di avvolgermi nel tallet e di cominciare se non altro le benedizioni del mattino e i salmi preliminari, che avrei sempre potuto ripercorrere dopo. Esaurite tutte le possibili introduzioni e antefatti al servizio, però, la sinagoga era altrettanto deserta di quanto fosse prima.
Ho continuato a dire Shachrit, un po' in silenzio, un po' cantillando a bassa voce il nusach che è familiare a me, ma che quei muri forse non avevano mai sentito. Ho letto in silenzio la Parashà. Sono arrivato ad Adon Olam e continuavo ad essere l'unico frequentatore della sinagoga e forse l'unica persona all'interno del palazzetto, insieme al mio amico dal copricapo tagiko, che però non ho più visto.

Ho piegato il tallet e l'ho rimesso via. ho visitato l'atrio del tempio, osservando le foto raccolte in pagine sottovetro incardinate al muro, un po' come si vedeva nei vecchi negozi di dischi. L'ufficio del rabbino, vuoto. I corridoi, vuoti. Anche il mio amico era scomparso. Ho richiuso la porta con attenzione. Ho sceso la breve scala, mi sono guardato indietro. Ancora nessuno. Ho attraversato di nuovo il bosco, ho ripercorso il lungofiume e quasi immediatamente mi sono ritrovato nella mia camera d'albergo con ore di anticipo su un servizio che supponevo sarebbe stato lunghissimo. Per l’arrivo delle canoe c'era ancora molto tempo.

Sono tornato a letto, come se quella mattina non mi fossi nemmeno mai alzato.

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La foto è di Andras Kertesz

18.2.06

Some thoughts sul libro di Ariel Toaff "Pasque di Sangue"

Haifa University - Department of Jewish History
On reading of Toaff’s Pasque di Sangue

Some thoughts

The myth of ritual murder, tied to the blood libel, the actual use of blood, and tied, once more, to the accusation of stealing the Host for magical and other purposes is demonstrably a product of a medieval Christian world which saw the Jew as competing to reclaim the legacy of being God’s chosen, which Christianity had claimed for itself. The way to prove the rightful possession of the mantle was by claiming that the allegedly rejected other, the Jew, in the Christian’s case, was an agent of impurity and its transfer. In specific terms going back to John Chrysostom in the late fourth century, the Jew was the Dog, who sought to steal the bread that belonged rightfully to the children, the bread in question being the Eucharistic one of Matthew 15:26, the verse Chrysostom was parsing as he spoke these words. [a] The Jews’ touch, contact, common dining said Agobard of Lyons, create pollution, and the Christian who has done these things not only receives the Eucharist in a state of impurity, but passes it on. Hence, Innocent III had Jews wear special garb for special distinction. It was he who made the Eucharist mandatory annually for all.

The image of the dog appears in the physician Tiberino’s account of the death of Simon of Trent. When Simon was brought in to be tortured, he wrote, the Jews assembled began ululare, to bark, the same word used constantly in Latin texts to describe Jewish prayer. When the ghetto was opened in 1871, Pius IX wrote that he now heard the Jews latrare per le vie. Earlier, it was said of Philip II of France, about 1180, that he had heard that every year the Jews immolabant et communicabant, they sacrificed and took communion, literally, with the heart of a Jewish child. Werner of Oberwessel, whom also the Jews supposedly slew, was called simultaneously the corpus verum, the Eucharist, the corpus mysticum, the Church, and the real body of Christ,. Other stories use leather bags, water imagery (read baptism), and more to create a set of topoi that pass from one ritual murder story to another. A game played even today in Chile has children singing: Who stole the bread from the oven, and they respond themselves: The Jewish Dog.

There is some kind of need for these stories, not only to prove one’s purity and God’s choice, known theologically under the name of supersession, but out of a belief that Eucharistic martyrdom—and all martyrs have been likened to the Eucharist, regardless of their martyrdom’s origin—actually enhances Christ’s saving grace. This was said especially in the seventeenth century.

Is it any wonder, then, that reacting to these exaggerations and distortions, the Jesuit Petrus Browe about 1940, when asked whether there was any substantial proof for ritual murder and blood libels, replied succinctly, Nein? Another Jesuit, the student of Saints’ Lives Francois Halkin, about 1923, called the charge inanité.

But some people were not listening, are not listening. Websites like Holywar.org, whose most developed version is in Italian, reprints the worst texts of libels, while denying the Shoah in the process – and accusing both Pope John Paul II and Benedict XVI of 123 heresies. Blood libels and super Catholic fundamentalism go hand in hand. Mel Gibson’s film The Last Passion of Christ, carefully inspected, turns out to be a blood libel in reverse. Christ is reconstructed suffering much like the victim of blood libel stories, whipped, tortured, and profusely bled.

To find a book which, following the article in the Corriere della sera by Sergio Luzzatto (whoever he is, certainly no known expert on Jewish history), revives all the myth, including all the topoi that accompanied it, but under the title of even possible truth, is disturbing. That it is politically disturbing goes without saying. Judged by rigid historiographical canons, it is disturbing even the more. I have not read the book. I cannot say how Toaff uses his evidence. One thing, though, is certain. To debunk what one considers historical myth—in Toaff’s case, the belief that there never were ritual murders—one has to engage those so-called myths and prove they were that, that historians were obfuscating a clearly ugly truth. One has also to negate the claims of not-always-so-friendly medieval converts from Judaism to Christianity, who testified both before popes and emperors that Jews never use blood. And one has to explain why texts which outstanding scholars like Diego Quaglioni, one of today’s leading experts on medieval law, have judged to be the transcripts of a trial improperly carried on should be seen otherwise, as reporting the truth.

It is necessary also to explain why the Dominican Bishop Battista de’ Giudici took up the cudgels, right after 1475, to argue the trial at Trent was a railroad, putting his own life in danger. Not to mention that the then Franciscan Pope Sixtus IV issued a bull in 1478 with a most direct message that Jews were not to be harmed who lived peacefully, who did no evil against Christianity, which he clearly believed, following his legate’s advice, to have been the case at Trent, that the Jews were unjustly imprisoned, tortured, and horribly put to death.

The historian has to counter all this, using rigorous historical rules of evidence, in order to make a case that ritual murder was real, even one single instance of it. One cannot, moreover, mystify all this by pretending to some hitherto unknown Kabbalistic sect was responsible, raising up the specter of Kabbalah as sheer magic that it falsely acquired in later years, mostly through Christian practice of Kabbalistic ritual, or to be more precise, pseudo-kabbalistic ritual. Nor is the use of the term fundamentalist, as Luzzatto reports it, applicable at that time. All Jews, unless they fled the community, carefully observed Jewish rights; they had no choice.

We always hope for accurate historical study. About Toaff’s book, I must, just because I am a historian, reserve judgment till I have actually read it. At the same time, as one who has studied these issues for much time and in great depth, I fear for the worst: that a great perversion of the historian’s craft may be here at work.

Kenneth Stow

[a] Kenneth Stow, Jewish Dogs, An Image and Its Interpreters: Continuity in the Jewish Catholic Encounter. Stanford University Press, 2006.

28.11.05

Il padre segreto di Sharon

Sorridi, sei sul TBLOG

Sulla scena politica israeliana fanno irruzione le idee di Yashayahu Leibowitz. Le idee che hanno portato al ritiro unilaterale e all'apertura di una prospettiva di pace imprevedibile pochi mesi fa. Sono le idee del nuovo centro israeliano.

Assolutamente da leggere, da quella meraviglia di periodico che è Zeek, "The second coming of Yeshayahu Leibowitz", sulla nuova attualità del grande pensatore radicale, scienziato ed ebreo ortodosso che guastò a tutti la festa del 1967, annunciando nell'immediatezza della vittoria che l'occupazione dei territori sarebbe stata la rovina morale, ebraica e democratica di Israele.

Sono passati dieci anni dalla sua morte. E' stato detestato in vita da religiosi, a cui contestava l'idolatria dell'assegnare valore religioso ai confini dello stato. E stato vilipeso dalla destra alle cui smanie annessioniste contrapponeva dichiarazioni incendiarie sulla degradazione morale dell'esercito israeliano, invitando apertamentei i giovani a non accettare la chiamata alle armi. E' stato attivamente detestato dalla sinistra, di cui contestava l'approccio "land for peace", sulla base della convinzione che nessuna vera trattativa sarebbe stata possibile tra signori e sudditi. E che, quindi, qualunque colloquio di pace senza un ritiro preventivo, unilaterale e senza condizioni, sarebbe stato una commedia di falsità e inganni. Fu proprio il governo Rabin a schierarsi contro la consegna del Premio Israele a Leibowitz nel 1993.

Inviso a tutti, Leibowitz è però inaspettatamente tornato. C'è molto di suo nella nuova politica israeliana che sta trionfando, sconquassando gli schieramenti tradizionali.

C'è la convinzione, tradizionalmente di destra, che la pace sia uno scenario remoto. Che "land for peace", cioè la negoziazione del ritiro, sia una strada sbagliata e senza uscita. Ma anche la certezza, di sinistra, che la sicurezza di Israele non dipenda dai confini ampi. E anzi che i maggiori pericoli possano venire da chi sta dentro quei confini.

Il risultato di questo apparentemente illogico e inconciliabile sistema di pensieri è il ritiro unilaterale. Che proprio in quanto unilaterale può aprire, forse, una strada verso la pace, che qualunque altro approccio chiuderebbe. E' una strada stretta e improbabile. Ma l'unica possibile. Ed una strada che, anche se non dovesse portare alla pace, cosa per cui occorre la cooperazione della controparte, quantomeno assicura la salvezza morale, democratica ed ebraica di Israele. Su questa strada ha deciso di incamminarsi Ariel Sharon, in compagnia della maggior parte dell'elettorato israeliano.

Forse è presto per annunciare l'arrivo dell'era messianica. Ma l'era leibowitziana, quella sì, è sicuramente cominciata.

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8.11.05

La Francia ebraica aspetta



Ieri per la prima volta ci è scappato il morto.
E mentre la rivolta si allarga, e sulla Francia scende il coprifuoco, gli ebrei francesi tengono un bassissimo profilo, aspettando che il peggio passi.

Gli attacchi antisemiti sono stati, se così si può dire, limitati. Due molotov lanciate in una sinagoga durante la tefillah a Pierrefitte, scontri con gli agenti davanti ad un altra sinagoga a Stains.
Ma l'inquietudine c'è. La linea ufficiale sembra essere quella di non esaltare gli animi, non sottolineare gli incidenti. E soprattutto non mostrare paura che altri ne possano nascere, per evitare di segnalarsi come bersaglio. Il presidente del Concistoro, per ora, ha fatto sentire la sua voce per protestare contro i gas lacrimogeni penetrati in una moschea, proclamando l'inviolabilità di tutti i luoghi santi.



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2.11.05

Guerra di successione Satmar



Pare che i Satmar di Brooklin siano in guerra da anni, da quando il vecchio Rebbe Moses Teitelbaum se ne è andato, lasciando in eredità al figlio minore la guida della setta.
I seguaci del fratello maggiore si sono duramente incazzati, e dopo anni di guerra sotterranea, hanno sfasciato la sinagoga dei "cugini", la sera di Simchat Torah.
Ecco l'articolo

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29.10.05

Rav Di Segni boicotta evento vaticano: c'era Lustiger

Perplessità notevoli sulla decisione di Rav Riccardo Di Segni di
boicottare l'anniversario della "nostra aetate", un evento
multireligioso a cui hanno comunque partecipato leader ebrei di tutto il
mondo.

http://www.haaretz.com/hasen/spages/638731.html

Pare che l'assenza di R. Di Segni nasca dalla decisione, da lui
giudicata inopportuna, di avere tra gli speaker dell'evento il cardinale
Jean Marie Lustiger, nato ebreo figlio di madre uccisa ad Auschwitz, e
convertito al cattolicesimo da ragazzo.

Personalmente, concordo col giudizio del rabbino capo brasiliano,
riportato nell'articolo di Haaretz.

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23.10.05

Scintille a Cracovia


Un anno fa, in visita a Cracovia, non mi riuscii di trovare una sinagoga, reform o ortodossa dove passare shabbat. In giro per il ghetto trovai solo diversi musei, qualche vecchio americano in visita, qualche gift shop per turisti.



Ma nemmeno un ebreo residente e visibile, a parte le statuette intagliate nel legno.

Oggi a Cracovia prende servizio un nuovo rabbino, il primo ad occupare la sede dopo la Shoah. Pare che la comunità ufficiale conti 200 persone, ma forse 1000 sono gli ebrei halachici che nascono da famiglie che hanno scelto il marranesimo negli anni del comunismo (eh sì, anche il comunismo può essere antisemita. E in Urss, in Polonia e in Cecoslovacchia lo è stato con particolare impegno).


Auguri a Rav Avraham Flask, un israeliano nato in Russia. La prossima volta, Cracovia mi sembrerà meno spettrale.

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"gli ebrei non hanno diritto al monte del tempio"

"La moschea Al-Aqsa esiste da sempre e Salomone non potrebbe avere costruito il suo Tempio dove già esisteva una moschea".

Così Sheik Kamal Hatib, vicepresidente del "Movimento Islamico", il gruppo musulmano più idendificato con la militanza del Monte del Tempio.

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10.10.05

Le conversioni in Israele crescono del 50%

<>Apparentemente la spinta data dal governo ad un processo di conversione
più "umano" sta dando risultati.
Nell'articolo si cita però il caso di un cittadino arabo che lotta da
due anni col rabbinato di Tel Aviv ed una infinità di diffidenza e
ostacoli burocratici per riuscire a convertirsi, un desiderio che dice
di provare sin dall'infanzia. E' piuttosto irritato col rabbino
"ultraortodosso" che decide "al posto di D-o" chi è secolare, chi è
ateo... mi chiedo perché non abbia bussato anche alla porta del
rabbinato reform, che adesso è in grado di fornire una conversione
perfettamente accettabile dalla legge israeliana.

Tb

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27.3.05

L'ebraismo liberale, Terry Schiavo e il taglialegna

L'ebraismo afferma che il pikuach nefesh il "salvare una vita" ha la precedenza su ogni altra legge e considerazione. Ma l'ebraismno non è fatto dei dogmi e degli assoluti che spaccano tutto: è fatto di dettaglio. E' fatto di legge e di applicazione dei principi caso per caso. Le storie talmudiche citate nell'articolo qui linkato contengono alcune eccezioni. Per Rabbi Yehudah e Hananiah la morte era sia inevitabile che imminente. L'atto di morire era prolungato in un caso dalle preghiere dei discepoli e nell'altro dai panni bagnati messi a questo scopo dal boia. In ognuno dei due casi fu permesso di rimuovere l'impedimento a morire.
I rabbini credevano che a causa della sua meccanicità il suono del taglialegna potesse impedire la partenza dell'anima e che in questi casi il taglio della legna potesse essere fermato. Alcuni bioeticisti ebraici invocano il "principio del ventilatore" per rimuovere un respiratore artificiale che sia l'ultimo impedimento alla morte naturale.
Su tblong l'articolo in formato html

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25.3.05

Chag Purim Sameach (e brutte notizie dalla Serbia)


La sinagoga di Subotica

Negli ultimi anni oltre 100 libri antisemiti sono stati pubblicati in Serbia

Ma mentre rimangono pochi Ebrei, l'antisemitismo fiorisce. Molte librerie fanno scorta del famigerato "I Protocolli dei Saggi Anziani di Zion", il libro russo dei primi del ‘900 che fraudolentemente pretendeva di svelare una cospirazione ebraica contro la popolazione non-ebrea del mondo, e specialmente contro quella cristiana. Cosa ancora più fastidiosa, un elenco di eminenti Ebrei serbi è stato recentemente pubblicato sul sito web di una organizzazione neonazista, accanto a messaggi inviati da visitatori del sito che chiedono che costoro siano uccisi (....)

Di Dragana Nikolic-Solomon e Ljubisa Ivanovic*, Belgrado, IWPR, 4 marzo 2005 (titolo originale: "Anti-Semitism Raises its Head in Serbia")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta

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28.2.05

C'è un rabbino in Italia?

[ A copy of this message has been posted to the newsgroup ]
[ it.cultura.ebraica ]

In Germania, il Cardinale Meisner ha paragonato l'aborto alla Shoah ed è
stato costretto ad una retromarcia veloce quanto indecorosa [1]

In Italia, c'è qualcuno nella Comunità Ebraica, un rabbino, un
presidente dell'UCEI, magari pure una rabbina, che si INCAZZI COME UNA
JENA per i deliri del Papa G.P. II, che nel suo libro annuncia le stesse
identiche enormità di Meisner, solo con una magntitudine mille volte
superiore?

=================================================

Il Papa: l'aborto come la Shoah
attesa per il suo nuovo libro

http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/esteri/papa1/libr/libr.html
=================================================

E' possibile che dobbiamo stare a sopportare queste porcherie, e quel
che è peggio senza fiatare? Sono senza parole.

Tb

[1] Ieri l'ufficio stampa dell'arcidiocesi di Colonia ha rilasciato un
comunicato in cui il cardinale chiede scusa per le sue affermazioni, che
a suo avviso sono state travisate. "Se avessi immaginato - ha dichiarato
- che il mio riferimento a Hitler sarebbe stato frainteso, avrei evitato
di citarlo. Mi dispiace per quanto è accaduto". Nel comunicato si
precisa anche che il cardinale Meisner non ha inteso in alcun modo
relativizzare il crimine della Shoah.

Anche la stampa conservatrice tedesca aveva criticato il cardinale per
l'infelice paragone da lui utilizzato. Il prestigioso quotidiano "Die
Welt" per esempio scrive che "come l'eutanasia, anche l'aborto è un
male, ma quest'ultimo ha a che vedere anche con tragedie umane. E' del
tutto spropositato mettere insieme in un colpo solo l'aborto ed i
massacri di massa organizzati".

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26.2.05

[ICE] Il Gefilte Fish di Babe

Mi sono chiesto spesso se esistesse da qualche parte un Gefilte Fish che si potessse definire *buono*.
Maisele racconta il Gefilte Fish di sua madre, non solo *molto buono*, ma pare *squisito* e a quanto pare *spettacolare*. Yum! Da provare


Ci vogliono 3 tipi diversi di pesce, "di lago, di mare e di fiume" (es: trota, orata o cernia e salmone). Si puliscono i pesci e il salmone si spella (attenzione, la pelle deve venir fuori intera, serve dopo).

Si fa un brodo (quindi ci vuole l'acqua) con lische e teste di metà dei pesci, cipolle (quelle dalla pelle gialla-dorata) tagliate a rondelle con la buccia, carote, pomodoro, sale, pepe nero in grani (ci si mette 1h-1h15')

Mentre si fa il brodo, si sfiletta il pesce e si trita insieme a 2 carote crude, cipolla (trita e) fritta, cipolla cruda, prezzemolo, sale e pepe macinato, si mescola (e si lavora bene) con acqua (molto fredda), e uova (crude, intere e senza buccia).

Per la versione "al forno" si fa, con l'impasto, un polpettone a forma di pesce e lo si ricopre con la pelle del salmone, lo si mette in una teglia (da forno) ben oliata e si spennella di olio anche la pelle e si mette nel forno (non ho segnato né temperatura né tempo).


Per la versione "bollito" si fanno delle palline che si mettono nel brodo (che avete fatto prima) bollente, e _occhio!_ che appena riprende il bollore si deve mettere a "fuoco morto" (cioè bassissimo), che sennò si sfanno. Si lascia cuocere a lungo (1h-1h30') e all'ultima 1/2 ora aggiungete carote e patate.

Tutt'e due sono di sapore molto delicato e per condirli si usa il cren grattuggiato, (ha la fibra molto dura quindi dopo gratuggiato bisogna passarlo, minipimer) colorato e leggermente addolcito con un po' di barbabietola rossa bollita e aceto, vino rosso, olio, sale e un pizzico di senape in polvere. [picca forte, molto forte].

E' una prelibatezza squisita -che mia madre presenta anche in modo spettacolare: ogni pallina sormontata da una fettina di carota, in letto di patate, con il magenta del cren è magnifico a vedersi- e che per quanto ne faccia non arriva mai al secondo Seder.

Nota: fra le varianti citatemi c'è il GF "etimologico", cioè il vero Pesce Ripieno -polacco secondo mia madre, figlia di una russa e di un tedesco- che è fatto al forno con tranci di pesce ognuno riempito con l'impasto. ovviamente molte di più sono le variazioni regionali dell'impasto.

Buon divertimento a chi si vuole cimentare.

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<:3)~~~maisele

6.12.04

Zeek!

E' abbastanza difficile immaginare un giornale come Zeek in Italia. Un giornale di cultura ebraica tradizionale e assolutamente anticonformista, dove ortodossi, liberali, radical, chassidim, studiosi del medioriente, artisti, fotografi, si ritrovano per cercare insieme le domande e le risposte.
Tanto per cominciare a capire con cosa si ha a che fare, e capire a quale distanza abissale ci troviamo dalla paludata stampa ebraica italiana, forse conviene partire da questi articoli su essere gay ed ebrei osservanti e su omosessualità e chassidismo.

C'è molto altro, naturalmente. A cominciare da una iconografia contemporanea assolutamente di prim'ordine. E' un mensile e credo che mi capiterà di citarlo spesso.

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