23.2.06

Carlo Ginzburg su Pasque di Sangue

Dal CORRIERE della SERA del 23 febbraio 2007, un intervento dello storico Carlo Ginzburg sul libro di Ariel Toaff "Pasque di sangue":

Le accese discussioni suscitate dal libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue, continuano, ma concentrate su un unico punto: la decisione dell'autore di ritirare la propria opera dal commercio. Del libro non si parla più. Ma le due questioni vanno tenute distinte. Lo fa anche, nel suo comunicato, l'Associazione Il Mulino, dichiarando che «al di là del giudizio di merito che solo la comunità scientifica ha il compito di formulare... non può esimersi dal manifestare il più netto rifiuto degli appelli alla censura e delle espressioni di linciaggio morale che sono state indirizzate all'autore».
Personalmente ritengo che chi ha condannato il libro di Toaff prima di averlo letto abbia fatto un gesto stupidamente intollerante. Ma il ritiro del libro voluto dall'autore, che si è ritenuto travisato dai recensori, non può certo essere paragonato ai roghi di libri degli inquisitori e dei nazisti evocati da Franco Cardini sull'Avvenire (16 febbraio). «Un libro ritirato dal commercio, a pochi giorni dalla sua uscita, equivale a un libro distrutto. A un libro bruciato», ha scritto Cardini. Non è vero. La prima tiratura (ne ignoro la consistenza) è andata subito esaurita, acquistata da privati e da biblioteche. Un libro pubblicato è di per sé un oggetto pubblico. La sua sconfessione, a quanto pare solo parziale, da parte dell'autore non può impedire agli studiosi di continuare a discuterlo.
Nel 1914 La Civiltà cattolica
pubblicò un lungo articolo su un processo che si era svolto l'anno prima nella Russia zarista, a Kiev.
Un bambino di dodici anni era stato torturato e ucciso; un ebreo era stato accusato e portato in tribunale; il processo aveva suscitato una vasta eco in tutto il mondo. Da più parti si era parlato di omicidio rituale: la consuetudine infame, di cui gli ebrei erano stati accusati periodicamente fin dal Medioevo, di impastare il pane azzimo preparato alla vigilia di Pasqua con il sangue di bambini cristiani uccisi. Il processo si era concluso con un'assoluzione. La Civiltà cattolica
prendeva atto a malincuore della sentenza, ma ribadiva che essa non scalfiva affatto l'esistenza di omicidi rituali dettati dal «fanatismo religioso» ebraico: «quel fanatismo è la sola spiegazione che si possa dare di un delitto così caratteristico, così esclusivamente loro proprio ( degli ebrei) ». Qualche altro ebreo era certamente colpevole, così come lo erano gli ebrei in generale.
Convinzioni incrollabili come quelle esibite dall'articolista della Civiltà cattolica costarono, nel corso dei secoli, la vita a moltissimi innocenti. Ma si trattava poi sempre di innocenti? Nel suo libro Ariel Toaff, professore all'università israeliana di Bar-Ilan, si è posto questa domanda: e ha risposto sostenendo che in qualche caso le accuse di omicidio rituale erano fondate. Questa tesi stupefacente ha suscitato un gran numero di commenti, generalmente assai critici: ricordo in particolare quelli, stringenti, di Adriano Prosperi sulla
Repubblica e di Anna Esposito e Diego Quaglioni su queste pagine. A questi interventi aggiungo il mio. Esso è dettato da motivi anche (ma non solo, ovviamente) personali. Alla fine della sua prefazione Ariel Toaff dichiara di aver letto i documenti sugli omicidi rituali ispirandosi a un principio di metodo che aveva ispirato molti anni fa una mia ricerca sullo stereotipo del sabba stregonesco ( Storia notturna, 1989). Si tratta di un richiamo abusivo: Ariel Toaff ha seguito una via completamente diversa dalla mia. Ma il confronto tra le due vie è illuminante perché mostra con quali criteri egli abbia letto i documenti.
Nel passo citato da Ariel Toaff io sostenevo che nei processi di stregoneria uomini e donne, sottoposti a tortura e a pressioni psicologiche, finivano molto spesso con l'introiettare stereotipi ostili suggeriti dai giudici. Quando però ci imbattiamo in una divergenza tra le dichiarazioni degli imputati e le aspettative dei giudici possiamo dire di trovarci di fronte a «frammenti relativamente immuni da deformazioni della cultura che la persecuzione si proponeva di cancellare». Più avanti precisavo che questi frammenti potevano riferirsi sia a miti, sia a riti: e optavo, riguardo al sabba stregonesco, per la prima alternativa. Nella prefazione al suo libro Ariel Toaff ha richiamato implicitamente questa distinzione aderendo all'alternativa opposta: «Volendo... concludere che gli omicidi, celebrati nel rito di Pasqua, non fossero soltanto miti, cioè credenze religiose diffuse e strutturate in maniera coerente, ma piuttosto riti effettivi propri di gruppi organizzati e forme di culto realmente praticate, saremo chiamati a una doverosa prudenza metodologica» (pp. 12-13).
Di questa doverosa prudenza Ariel Toaff si è dimenticato subito. In alcuni casi, egli ha scritto, è possibile arrivare a «riscontri obbiettivi», come nei processi celebrati a Endingen in Alsazia nel 1470. Ma poi si scopre che questi riscontri riguardano soltanto i «significativi particolari sulle cerimonie religiose in cui ( gli imputati) intendevano impiegare il sangue che si erano procurati» (p. 78). In altre parole, gli ebrei sottoposti a tortura confessavano quello che i giudici cercavano, ossia il racconto degli omicidi rituali: tra le aspettative dei giudici e le risposte degli imputati non c'era, su questo punto, divergenza alcuna. Ma quei racconti venivano inseriti in descrizioni di cerimonie familiari agli imputati come, prevedibilmente, la Pasqua ebraica. Per Ariel Toaff l'autenticità di queste descrizioni costituisce un «riscontro puntuale» dalle conseguenze imprevedibili: «proprio i riscontri puntuali, posti in luce almeno per una parte di quelle testimonianze, dovrebbero indurci a non squalificare aprioristicamente e senza persuasive giustificazioni, la realtà, magari esagerata o travisata, di eventi sui quali non siamo ancora riusciti a ottenere i riscontri necessari» (p. 79). «Ancora», ma per poco. Basta voltare pagina e i riscontri, anzi i «precisi riscontri», saltano fuori. Parlando degli ebrei mandati al rogo a Landshut attorno al 1440 Ariel Toaff scrive che «sia l'infanticidio di Landshut che il successivo massacro degli ebrei trovano precisi riscontri nei documenti dell'epoca» (p. 90). Ma che cosa c'entra tutto ciò con la presunta partecipazione degli ebrei agli omicidi rituali? Come si fa ad estendere l'autenticità di circostanze marginali (o ovvie, come quella sul massacro degli ebrei) al punto centrale, e controverso, su cui si concentravano le pressioni, fisiche e psicologiche, dei giudici? Giudici che condividano quest'idea di riscontro farebbero paura a chiunque — Ariel Toaff compreso, immagino. È pur vero che questo cumulo di illogicità e di strafalcioni è stato salutato con entusiasmo da Franco Cardini: «una ricerca storica metodologicamente esemplare...
un atto di onestà intellettuale» ( Avvenire, 7 febbraio). «Magnifico libro di storia» aveva esclamato Sergio Luzzatto su queste pagine. Ma per fortuna gli studiosi hanno scritto di questo libro quello che simerita.
Il procedimento per contagio che ho appena descritto dilaga a proposito dei processi celebrati a Trento nel 1475, ai quali è dedicata la maggior parte del libro. Un gruppo di ebrei confessarono sotto tortura di aver ucciso un bambino di due anni, Simonino. Ariel Toaff si chiede «se quelle descrizioni o quei resoconti, estorti con la tortura, fossero autentici e reali o piuttosto costituissero il frutto delle pressioni suggestive degli inquisitori». La risposta si snoda in due tempi: anzitutto, le confessioni vengono spogliate «dell'elemento più problematico, costituito dall'ammissione dell'uso del sangue del bambino cristiano, sciolto nel vino e mescolato all'impasto delle azzime» (p. 163). Poi si esaminano le descrizioni della Pasqua ebraica contenute nelle confessioni degli imputati. Esse, conclude Ariel Toaff, «si rivelano precise e veritiere. A parte i particolari sull'uso del sangue nel vino e nelle azzime, di cui parleremo in seguito e il cui sporadico inserimento nel testo non vale a modificare il quadro generale, i riscontri sono sempre puntuali» (p. 170). Ancora una volta l'autenticità delle descrizioni della Pasqua ebraica rese da ebrei dimostrerebbe la veridicità delle confessioni sull'omicidio rituale. In particolare, la presenza di elementi anticristiani nel rituale descritto, sotto tortura, dagli imputati sarebbe un «riscontro» che dimostrerebbe la colpevolezza degli imputati. L'esistenza di eventi specifici viene provata sulla base di un contesto culturale generico: un'assurdità che salta agli occhi.
Che un tema così grave sia stato affrontato con tanta superficiale irresponsabilità lascia sgomenti. Eppure un libro come questo ha trovato un editore (che si credeva rispettabile) e degli estimatori. Naturalmente nessuno discute il diritto di scrivere, pubblicare o lodare un libro pessimo: ognuno è responsabile delle proprie scelte. Certo, questa mancanza di discernimento critico (per non parlar d'altro) è penosa. A che cosa attribuirla? In qualche caso s'intravede la seduzione del rumore mediatico, che è per molti irresistibile. Ma forse dietro la disponibilità a prendere per buone le confessioni degli ebrei accusati di omicidio rituale agisce un elemento più oscuro: la convinzione strisciante che la tortura (una pratica percepita come diffusa, inevitabile, in fondo normale) sia una via per arrivare alla verità. Qualche volta la sordità morale e quella intellettuale s'intrecciano, rafforzandosi a vicenda.




Diario di lettura: puntate precedenti
Guida alla lettura di Pasque di Sangue
Guida alla non lettura di Pasque di Sangue

22.2.06

Toaff: la solidarietà della Morgantini

20 Febbraio 2007

Caro Direttore,

ritengo davvero preoccupante il clima da caccia alle streghe che si è dispiegato nei confronti di Ariel Toaff autore del libro Pasqua di Sangue. I ricatti e le accuse giunti all’autore da parte di gruppi e associazioni ma anche dal padre, lo hanno indotto a ritirarne la pubblicazione. Eppure, gli episodi descritti dalla sua ricerca su omicidi rituali avvenuti tra il XII e XVI secolo non venivano ascritti agli ebrei in generale ma solo a quasi inesistenti gruppi di ebrei askenaziti.



Non c’è niente di peggiore di questo fondamentalismo che non permette nessuna critica o persino verità storica.



Anche Hannah Arendt quando osò, nel suo scritto tradotto in Italia con “La banalità del male”, mettere in discussione il processo e la sentenza su il criminale nazista Eichmann, venne letteralmente assalita di insulti e accusata “di difendere la Gestapo e di calunniare le vittime ebraiche”. Gli amici la abbandonarono, l’ ostracismo arrivò da tutte le parti e lei restò ammutolita senza il coraggio di rispondere ma non ritirò il suo libro.



Del resto le stesse intimidazioni e ostracismi vengono fatti anche a chi, pur sostenendo lo Stato d’Israele, critica il mancato rispetto della legalità internazionale da parte dei diversi governi Israeliani con l’ occupazione militare dei territori palestinesi che dura ormai dal 67, la continua annessione territoriale con l’espansione delle colonie e la costruzione del muro. Ne sanno qualcosa persino quegli israeliani come Ilan Pappe o Nurit Peled che osano scrivere delle politiche coloniali e razziste praticate quotidianamente nei territori occupati.



Mi dispiace molto per Ariel Toaff che ha dovuto subire tanta umiliazione, mi auguro che tutti possano leggere la sua ricerca e gli storici saperne anche criticare i contenuti senza essere messi alla berlina da nessuno.



Cordiali saluti,



Luisa Morgantini

Vice Presidente del Parlamento Europeo

19.2.06

Kennet Stow su "Pasque di Sangue"

2-19-07

Blood Libel: Ariel Toaff's Perplexing Book

By Kenneth Stow

Mr. Stow, the editor of Jewish History, is Professor Emeritus of Jewish History at the University of Haifa.

A week after its publication, Ariel Toaff has withdrawn his Pasque di sangue (in English: Bloody Passovers: The Jews of Europe and Ritual Murders) from circulation. Hopefully this will elegantly end an unfortunate episode. The book’s thesis is unambiguous: Jews crucified Christian children and used their blood ritually. The author’s disclaimers, like that which appears in a recent article in the Chronicle of Higher Education, are unpersuasive. The argumentation of the thesis is also elusive.

Discussions of the negativity Jews expressed about Christianity during the festivals of Purim and Passover and the prominence of blood-imagery in especially Passover rituals (chapters ten and eleven) are followed by the opening words to chapter twelve, which say: “The use of the blood of Christian children in the celebration of Passover was apparently framed by precise rules, or at least this is what the depositions in the Trent trial indicate." Mere juxtaposition—of itself, and by itself: abstract imagery morphing into “acting out”—is at once the totality of the “proof” brought to suggest Jews committed ritual murder, as well as its vague disclaimer, found in the words "or at least." But, as it proceeds, the book neglects its disclaimer, recasting as unimpeachable the confessions made by the Jews tried for the (supposed) murder of the child Simone at Trent in 1475. The reader is equally to accept as true the tale of a Christian boy allegedly murdered by Jews in 415, although the sole teller is the Church historian, Socrates, no more reliable than his counterpart who wrote that during the Persian conquest of Jerusalem in 611 C.E., the Jews murdered 50,000 Christians. An article based on such evidence would be rejected by the journal I have been editing for twenty years, Jewish History, as methodologically flawed.

To disparage this book is not, as some have suggested, to challenge academic freedom. It is to decry bad historiographical method. The question is not whether historians have the right to assess the veracity of ritual murder charges, but whether their arguments must adhere to generally agreed rules of historical reasoning. Here, the rules were plainly ignored. Toaff, professor of medieval and Renaissance history at Israel's Bar-Ilan University, chose to put his uncritical trust in the literal words of Christian chroniclers, court notaries, and tendentious modern polemicists. In particularly in its final chapters, his book glides from images of martyrdom found in Hebrew Crusade chronicles, alongside maledictions of Christianity in the mouths of exhausted and many times massacred Ashkenazic Jews, to the supposed reality of ritual murder, framed as vendetta. And he does so on the sole basis of the appearance of these images and maledictions in the depictions of Simone’s death elicited by torture from the accused. More likely, as I see it, the accused were recasting older imagery as a real event in order to satisfy their tormentors. Jews, no doubt, had also imbibed what Christians were saying, which they may well have regurgitated when “put to the question.” Under duress, their mentality may have come to gibe with that of their prosecutors.

Toaff might at least have raised these possibilities, but he never does. For this would have meant abandoning a narrative mode which, as it is now, is but a skein of speculations offered as self-evident truth by an omniscient author. It is this totally self-confident narrative that makes this book so treacherous. The tale is told as though its author were vouchsafed with the “truth.” The passage from the verifiable to the hypothetical is completely unmarked. And it is for this reason that the book wreaks such havoc, of itself, for what it says, on the author, and no less on its publisher Il Mulino.

What the book never confronts is the other side of the coin, to query whether charges of ritual murder, blood libels, or host desecration were intrinsic to Christian discourse, regardless of Jewish actions. A short time ago, Bernard Joassart, head of the Bollandists, the Jesuit students and collectors of Saints Lives in Antwerp, wrote me, saying: "Cette affaire du meurtre rituel a traîné longuement dans la conscience catholique - et je ne suis pas sûr que tous ont révisé leur jugement." Joassart was following in the path of Bollandist predecessors like Hippolyte Delehaye (Joassart is also Delehaye’s biographer), Francois Halkin, and Francois Van Ortroy, who nearly a century ago described ritual murder and blood libels as inanité. Embroiling himself with Jesuit authorities in Rome, who, at that time, were touting ritual murder libels, Van Ortroy wrote a scathing review denouncing G. Divina’s 1902 Storia del Beato Simone (the title says all), which calls the charge of killing Simon of Trent in 1475 true. Yet it is precisely Divina, together with Benedetto Bonelli’s, Dissertazione apologetica sul martirio del beato Simone da Trento of 1747, whom Toaff repeatedly cites, far more, in fact, than the trial records themselves (condemned in their own day by the Dominican legate Bishop Battista de’ Giudici and seconded, if indirectly, by the then Franciscan Pope Sixtus IV) to prove that ritual murders actually took place. Toaff thus finds himself squarely on the side of Van Ortroy’s arch-conservative opponents (as he could have known from my recent Jewish Dogs: An Image and Its Interpreters [Stanford, 2006], which he cites in his notes).

Alas, ritual murder, blood libel, and host libel charges have been integral to ecclesiology from the earliest. The story of the Jewish boy of Bourges, whose father threw him into a furnace rather than letting him take communion was being told already in the mid-sixth century. The boy stands for the Eucharist, just as in like fashion, Werner of Oberwessel, said to have been martyred in 1287, was identified with the corpus verum (the Eucharist), the corpus mysticum (the church), as well as with Christ’s real person (Acta Sanctorum, April 2: 699-700). The purpose of the charges was to demonstrate the Eucharist’s unassailability, even when it was being pursued by those whom first John Chrysostom (fourth century) and eventually Pius IX (nineteenth century) called “Jewish Dogs,” who were said to be bent on defiling the Corpus Christi in all its religious and social forms. As put by the chronicler William of Breton (d. 1223), each year the Jews immolabant et communicabant, they sacrificed and—literally—took communion with the heart of (that surrogate Eucharist) a Christian boy. This idea, moreover, Breton continues, was commonplace in the Capetian palace about 1179, four centuries before Trent. Nor was it something wrung out of a Jew through torture. Indeed, tales of ritual murder are often essentially a collection of topoi, with only the purported vicitm’s name, the place, and date changed. And as Miri Rubin explains in her Gentile Tales: The Narrative Assault on Late Medieval Jews (New Haven, 1999), these tales, which she calls useful tales of exemplification, confer legitimacy—and legitimize Christian response.

If, then, these accusations could develop out of Christian need—and without Jewish input—why should we believe ritual murder actually occurred? Thomas of Monmouth’s account of William of Norwich, for one, is a later concoction, out of thin air. Yet Toaff treats Thomas’s “facts” as real, just as he never bothers to say that the 1329 murder charge in Savoy was rejected as folly by Christian judges. Toaff would have us believe that the specific charge of mixing blood in the haroset (the fruit and nut mix eaten on Passover to recall the mortar Jewish slaves used in Egypt) was true. He is also distracted by his inexplicable sub-theme that all “deviant” Jewish behavior was of Ashkenazi origin—Jews from German regions—as were the Jews in Trent in 1475. However, the custom of eating haroset on lettuce, as was charged at Savoy, is sefardi and italqi. Ashkenazim accompany haroset with horse-raddish. The late Isadore Twersky whom Toaff cites to show Ashkenazim were haughty, said the same of Spanish rabbis, whereas Italians freely absorbed from all Jewish traditions (Italia Judaica I, Rome, 1983, pp. 390-391).

Also perturbing are the constant references to practical (magical) kabbalah, which was more typical of the late seventeenth and eighteenth centuries, as indeed are the origins of most works of this nature that Toaff cites. Earlier references to Jewish magic, treated as reliable, often come from the writings of Bishop Hinderbach of Trent, the chief antagonist in 1475. In citing Hinderbach in this context, Toaff’s method reminds us of the original seventeenth century Bollandists (as opposed to their twentieth century heirs), who strove to validate the chronology of their sources, but failed to ask whether what the sources said was true. Yet Pasque di Sangue can also be disingenuous. Toaff brings legitimate sources on the use of animal blood for medicinal purposes, which he then melds (sia animale che umano, p.103) with supposed confessions about the need for human blood. But these confessions are reported at a distance, and once again by drawing on Bonfelli and Divina, as well as the fifteenth century Franciscan Alfonso de Espina, whose Fortalitium fidei against Jews makes hairs stand on end.

Ultimately, Pasque di Sangue comes across as the product of deliberate imagination rather than reasoned historical thought. To correct the book, as Toaff proposes, would mean to phrase the whole hypothetically and to discard a raft of tendentious (especially secondary) sources, leaving the book with essentially nothing to say. A pity, for Toaff’s materials could have led to a master book about beliefs and their reception, for which a starting point could have been chapter ten, which discusses Christian and Jewish attitudes toward blood. As its stands now, Pasque di Sangue is full of “sound and fury.” It signifies nothing more.


18.2.06

Some thoughts sul libro di Ariel Toaff "Pasque di Sangue"

Haifa University - Department of Jewish History
On reading of Toaff’s Pasque di Sangue

Some thoughts

The myth of ritual murder, tied to the blood libel, the actual use of blood, and tied, once more, to the accusation of stealing the Host for magical and other purposes is demonstrably a product of a medieval Christian world which saw the Jew as competing to reclaim the legacy of being God’s chosen, which Christianity had claimed for itself. The way to prove the rightful possession of the mantle was by claiming that the allegedly rejected other, the Jew, in the Christian’s case, was an agent of impurity and its transfer. In specific terms going back to John Chrysostom in the late fourth century, the Jew was the Dog, who sought to steal the bread that belonged rightfully to the children, the bread in question being the Eucharistic one of Matthew 15:26, the verse Chrysostom was parsing as he spoke these words. [a] The Jews’ touch, contact, common dining said Agobard of Lyons, create pollution, and the Christian who has done these things not only receives the Eucharist in a state of impurity, but passes it on. Hence, Innocent III had Jews wear special garb for special distinction. It was he who made the Eucharist mandatory annually for all.

The image of the dog appears in the physician Tiberino’s account of the death of Simon of Trent. When Simon was brought in to be tortured, he wrote, the Jews assembled began ululare, to bark, the same word used constantly in Latin texts to describe Jewish prayer. When the ghetto was opened in 1871, Pius IX wrote that he now heard the Jews latrare per le vie. Earlier, it was said of Philip II of France, about 1180, that he had heard that every year the Jews immolabant et communicabant, they sacrificed and took communion, literally, with the heart of a Jewish child. Werner of Oberwessel, whom also the Jews supposedly slew, was called simultaneously the corpus verum, the Eucharist, the corpus mysticum, the Church, and the real body of Christ,. Other stories use leather bags, water imagery (read baptism), and more to create a set of topoi that pass from one ritual murder story to another. A game played even today in Chile has children singing: Who stole the bread from the oven, and they respond themselves: The Jewish Dog.

There is some kind of need for these stories, not only to prove one’s purity and God’s choice, known theologically under the name of supersession, but out of a belief that Eucharistic martyrdom—and all martyrs have been likened to the Eucharist, regardless of their martyrdom’s origin—actually enhances Christ’s saving grace. This was said especially in the seventeenth century.

Is it any wonder, then, that reacting to these exaggerations and distortions, the Jesuit Petrus Browe about 1940, when asked whether there was any substantial proof for ritual murder and blood libels, replied succinctly, Nein? Another Jesuit, the student of Saints’ Lives Francois Halkin, about 1923, called the charge inanité.

But some people were not listening, are not listening. Websites like Holywar.org, whose most developed version is in Italian, reprints the worst texts of libels, while denying the Shoah in the process – and accusing both Pope John Paul II and Benedict XVI of 123 heresies. Blood libels and super Catholic fundamentalism go hand in hand. Mel Gibson’s film The Last Passion of Christ, carefully inspected, turns out to be a blood libel in reverse. Christ is reconstructed suffering much like the victim of blood libel stories, whipped, tortured, and profusely bled.

To find a book which, following the article in the Corriere della sera by Sergio Luzzatto (whoever he is, certainly no known expert on Jewish history), revives all the myth, including all the topoi that accompanied it, but under the title of even possible truth, is disturbing. That it is politically disturbing goes without saying. Judged by rigid historiographical canons, it is disturbing even the more. I have not read the book. I cannot say how Toaff uses his evidence. One thing, though, is certain. To debunk what one considers historical myth—in Toaff’s case, the belief that there never were ritual murders—one has to engage those so-called myths and prove they were that, that historians were obfuscating a clearly ugly truth. One has also to negate the claims of not-always-so-friendly medieval converts from Judaism to Christianity, who testified both before popes and emperors that Jews never use blood. And one has to explain why texts which outstanding scholars like Diego Quaglioni, one of today’s leading experts on medieval law, have judged to be the transcripts of a trial improperly carried on should be seen otherwise, as reporting the truth.

It is necessary also to explain why the Dominican Bishop Battista de’ Giudici took up the cudgels, right after 1475, to argue the trial at Trent was a railroad, putting his own life in danger. Not to mention that the then Franciscan Pope Sixtus IV issued a bull in 1478 with a most direct message that Jews were not to be harmed who lived peacefully, who did no evil against Christianity, which he clearly believed, following his legate’s advice, to have been the case at Trent, that the Jews were unjustly imprisoned, tortured, and horribly put to death.

The historian has to counter all this, using rigorous historical rules of evidence, in order to make a case that ritual murder was real, even one single instance of it. One cannot, moreover, mystify all this by pretending to some hitherto unknown Kabbalistic sect was responsible, raising up the specter of Kabbalah as sheer magic that it falsely acquired in later years, mostly through Christian practice of Kabbalistic ritual, or to be more precise, pseudo-kabbalistic ritual. Nor is the use of the term fundamentalist, as Luzzatto reports it, applicable at that time. All Jews, unless they fled the community, carefully observed Jewish rights; they had no choice.

We always hope for accurate historical study. About Toaff’s book, I must, just because I am a historian, reserve judgment till I have actually read it. At the same time, as one who has studied these issues for much time and in great depth, I fear for the worst: that a great perversion of the historian’s craft may be here at work.

Kenneth Stow

[a] Kenneth Stow, Jewish Dogs, An Image and Its Interpreters: Continuity in the Jewish Catholic Encounter. Stanford University Press, 2006.

16.2.06

Diego Quaglioni su "Pasque di Sangue"

http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=2&sez=120&id=19405

È sempre estremamente pericoloso voler leggere le fonti partendo da un preconcetto, perché questo è destinato a condizionarne la comprensione e a falsarne il significato; ed è proprio da un'idea precostituita che Ariel Toaff si è mosso nell'affrontare il tema dell'omicidio rituale imputato agli ebrei: un tema delicato, sia per l'uso che ne è stato fatto in passato, sia per l'effetto che può avere su un pubblico di non specialisti. Tutto il libro di Toaff ( Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali,
il Mulino) si basa su un preconcetto: il preconcetto della pregiudiziale acriticità della storiografia precedente nel ritenere priva di fondamento l'accusa di omicidio rituale. Gli studiosi che della questione si sono occupati, insomma, avrebbero ritenuto «a priori» l'omicidio rituale «un'infondata calunnia, espressione dell'ostilità della maggioranza cristiana nei confronti della minoranza ebraica».
Partendo da questo presupposto, l'autore ha riletto gli atti dei processi agli ebrei di Trento del 1475, il «caso» che presenta la documentazione più ampia e che praticamente forma la trama su cui Toaff basa le sue affermazioni e cerca conferme alle sue tesi, senza tenere minimamente conto da una parte della natura di un processo inquisitorio, condotto da giudici secolari nella segretezza e nell'arbitrio, con l'uso sistematico della tortura e in assenza di ogni difesa, dall'altra del contesto in cui il processo fu celebrato. Non si può infatti ignorare che il processo coincise con la raccolta delle prove della santità del «martire» Simonino, santità fortemente voluta dal principe-vescovo Hinderbach e dagli uomini del suo entourage,
questi ultimi spesso testimoni agli interrogatori degli ebrei inquisiti e allo stesso tempo presenti alla registrazione dei miracoli del «beato Simonino». Si resta quindi interdetti nel notare una sostanziale incomprensione di queste circostanze nel libro di Toaff, che addirittura utilizza ampiamente e in modo del tutto acritico, inserendole addirittura fra le fonti, opere come quelle del Bonelli (1747) e del Divina (1902), scritte con lo scopo dichiarato di sostenere la causa della santità del Simonino e in cui la citazione di brani tratti dai documenti ha sempre la finalità di dimostrare la perfidia ebraica, il martirio del bambino e la sua santità.
Anche le pretese concordanze tra vicende e personaggi ricordati nelle deposizioni degli ebrei con fatti e persone realmente esistite, non formano certo prova della veridicità delle deposizioni, e non solo perché notizie di tal genere erano notoriamente ed ampiamente diffuse e quindi note sia agli imputati sia agli inquisitori. Tutto il processo di Trento risulta infatti viziato fin dal suo inizio dalla volontà dei giudici di provare ad ogni costo e, per loro stessa affermazione, anche contro le forme del diritto, che gli ebrei di tutta Europa erano meritevoli di sterminio perché ovunque essi erano dediti all'infanticidio rituale e al consumo del sangue cristiano.
Perciò il processo suscitò subito scandalo. Papa Sisto IV inviò a Trento un inquisitore domenicano, che al suo ritorno a Roma denunciò la falsità del processo contro gli ebrei «ingiustamente depredati e uccisi» e gli «inganni, frodi e macchinazioni» usati al solo scopo di avvalorare «credenze superstiziose» e d'inventarsi «miracoli straordinari». (Roba a cui potevano credere, egli scriveva, solo «donnicciole superstiziose, vecchie pettegole e frati questuanti»). « Commenta et fabulae », invenzioni e favole, « vulgi figmenta », invenzioni del popolino, che il domenicano considerava non un'ingiuria fatta agli ebrei, ma alla fede cristiana, « iniuria fidei christianae
». Gli stessi verbali che leggiamo oggi non sono gli originali, ma quelli che l'inquisitore del papa riteneva fossero stati riscritti di sana pianta per nascondere le atrocità commesse in un processo irregolare (nuovi documenti, di cui Toaff è certo a conoscenza, dimostrano che il vescovo di Trento e i suoi giudici erano perfettamente consci delle irregolarità e degli abusi procedurali).
Non vi è dubbio che Toaff, uno studioso che altre volte ha dato buona prova di sé nel campo degli studi sulla «cultura materiale», aveva tutto il diritto di rivedere criticamente la storiografia sull'omicidio rituale, ma non di improvvisarsi interprete di una documentazione che richiede qualche strumento in più di quelli che occorrono per comprendere il «mangiare alla giudia» in Italia dal Rinascimento all'età moderna. Prima di sostenere una tesi così paradossale su di un tema così complesso e delicato, avrebbe dovuto munirsi di prove concrete e incontrovertibili, delle quali il suo libro è invece del tutto privo.
La valutazione critica delle fonti, della loro attendibilità e importanza, è il primo compito della ricerca storica. Esistono a tale scopo criteri e norme di carattere generale, ma ogni ricerca necessita di particolari avvertenze critiche, che solo la «discrezione» dello studioso, il suo senso storico, gli possono suggerire. È la «discrezione», la capacità di discernimento dello storico a fargli avvertire ciò che può e ciò che non può rimanere dopo l'analisi critica del testo. Questo delicato strumento della critica storica sembra del tutto assente nel libro di Ariel Toaff, che si basa su una rude semplificazione dei criteri di giudizio e su una fede generalmente accordata a fonti di provata tendenziosità. Davvero il nostro raziocinio è così debole, il nostro giudizio storico così incerto, la nostra civiltà giuridica è così esaurita, da indurre a credere a confessioni estorte con la tortura e ratificate nel terrore di nuovi tormenti?
Il risultato, certamente non voluto ma nondimeno palese, è quello di una sorta di ritorno ad un'infanzia della storiografia, ad un'età precedente all'acquisto della «discrezione», della capacità di discernimento: un ritorno ad una lettura pre-critica delle fonti processuali. In un certo senso, Toaff poteva perfino risparmiarsi la fatica della scrittura: era sufficiente un'anastatica di certa letteratura apologetica di fine Ottocento.

12.2.06

Esposito e Quaglioni su: "Pasque di Sangue"

Esposito e Quaglioni. "Fede accordata a fonti di provata tendenziosità. Assenza di critica. Stesso metodo e conclusioni di certa libellistica apologetica del diciannovesimo secolo"

Anna Esposito e Diego Quaglioni hanno curato l'edizione critica dei verbali del processo agli ebrei di Trento del 1475, in seguito all'accusa di uccisione del piccolo Simonino.
Anna Esposito: storico del Rinascimento, Università La Sapienza - La Scheda
Diego Quaglioni: Storico del diritto, Preside della Facoltà di Giurisprudenza Università di Trento - La Scheda

Dal CORRIERE della SERA di 11/02/2007, a pag.37,un articolo Anna Esposito e Diego Quaglioni. Online grazie a Informazione Corretta

È sempre estremamente pericoloso voler leggere le fonti partendo da un preconcetto, perché questo è destinato a condizionarne la comprensione e a falsarne il significato; ed è proprio da un'idea precostituita che Ariel Toaff si è mosso nell'affrontare il tema dell'omicidio rituale imputato agli ebrei: un tema delicato, sia per l'uso che ne è stato fatto in passato, sia per l'effetto che può avere su un pubblico di non specialisti. Tutto il libro di Toaff ( Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali,
il Mulino) si basa su un preconcetto: il preconcetto della pregiudiziale acriticità della storiografia precedente nel ritenere priva di fondamento l'accusa di omicidio rituale. Gli studiosi che della questione si sono occupati, insomma, avrebbero ritenuto «a priori» l'omicidio rituale «un'infondata calunnia, espressione dell'ostilità della maggioranza cristiana nei confronti della minoranza ebraica».
Partendo da questo presupposto, l'autore ha riletto gli atti dei processi agli ebrei di Trento del 1475, il «caso» che presenta la documentazione più ampia e che praticamente forma la trama su cui Toaff basa le sue affermazioni e cerca conferme alle sue tesi, senza tenere minimamente conto da una parte della natura di un processo inquisitorio, condotto da giudici secolari nella segretezza e nell'arbitrio, con l'uso sistematico della tortura e in assenza di ogni difesa, dall'altra del contesto in cui il processo fu celebrato. Non si può infatti ignorare che il processo coincise con la raccolta delle prove della santità del «martire» Simonino, santità fortemente voluta dal principe-vescovo Hinderbach e dagli uomini del suo entourage,
questi ultimi spesso testimoni agli interrogatori degli ebrei inquisiti e allo stesso tempo presenti alla registrazione dei miracoli del «beato Simonino». Si resta quindi interdetti nel notare una sostanziale incomprensione di queste circostanze nel libro di Toaff, che addirittura utilizza ampiamente e in modo del tutto acritico, inserendole addirittura fra le fonti, opere come quelle del Bonelli (1747) e del Divina (1902), scritte con lo scopo dichiarato di sostenere la causa della santità del Simonino e in cui la citazione di brani tratti dai documenti ha sempre la finalità di dimostrare la perfidia ebraica, il martirio del bambino e la sua santità.
Anche le pretese concordanze tra vicende e personaggi ricordati nelle deposizioni degli ebrei con fatti e persone realmente esistite, non formano certo prova della veridicità delle deposizioni, e non solo perché notizie di tal genere erano notoriamente ed ampiamente diffuse e quindi note sia agli imputati sia agli inquisitori. Tutto il processo di Trento risulta infatti viziato fin dal suo inizio dalla volontà dei giudici di provare ad ogni costo e, per loro stessa affermazione, anche contro le forme del diritto, che gli ebrei di tutta Europa erano meritevoli di sterminio perché ovunque essi erano dediti all'infanticidio rituale e al consumo del sangue cristiano.
Perciò il processo suscitò subito scandalo. Papa Sisto IV inviò a Trento un inquisitore domenicano, che al suo ritorno a Roma denunciò la falsità del processo contro gli ebrei «ingiustamente depredati e uccisi» e gli «inganni, frodi e macchinazioni» usati al solo scopo di avvalorare «credenze superstiziose» e d'inventarsi «miracoli straordinari». (Roba a cui potevano credere, egli scriveva, solo «donnicciole superstiziose, vecchie pettegole e frati questuanti»). « Commenta et fabulae », invenzioni e favole, « vulgi figmenta », invenzioni del popolino, che il domenicano considerava non un'ingiuria fatta agli ebrei, ma alla fede cristiana, « iniuria fidei christianae
». Gli stessi verbali che leggiamo oggi non sono gli originali, ma quelli che l'inquisitore del papa riteneva fossero stati riscritti di sana pianta per nascondere le atrocità commesse in un processo irregolare (nuovi documenti, di cui Toaff è certo a conoscenza, dimostrano che il vescovo di Trento e i suoi giudici erano perfettamente consci delle irregolarità e degli abusi procedurali).
Non vi è dubbio che Toaff, uno studioso che altre volte ha dato buona prova di sé nel campo degli studi sulla «cultura materiale», aveva tutto il diritto di rivedere criticamente la storiografia sull'omicidio rituale, ma non di improvvisarsi interprete di una documentazione che richiede qualche strumento in più di quelli che occorrono per comprendere il «mangiare alla giudia» in Italia dal Rinascimento all'età moderna. Prima di sostenere una tesi così paradossale su di un tema così complesso e delicato, avrebbe dovuto munirsi di prove concrete e incontrovertibili, delle quali il suo libro è invece del tutto privo.
La valutazione critica delle fonti, della loro attendibilità e importanza, è il primo compito della ricerca storica. Esistono a tale scopo criteri e norme di carattere generale, ma ogni ricerca necessita di particolari avvertenze critiche, che solo la «discrezione» dello studioso, il suo senso storico, gli possono suggerire. È la «discrezione», la capacità di discernimento dello storico a fargli avvertire ciò che può e ciò che non può rimanere dopo l'analisi critica del testo. Questo delicato strumento della critica storica sembra del tutto assente nel libro di Ariel Toaff, che si basa su una rude semplificazione dei criteri di giudizio e su una fede generalmente accordata a fonti di provata tendenziosità. Davvero il nostro raziocinio è così debole, il nostro giudizio storico così incerto, la nostra civiltà giuridica è così esaurita, da indurre a credere a confessioni estorte con la tortura e ratificate nel terrore di nuovi tormenti?
Il risultato, certamente non voluto ma nondimeno palese, è quello di una sorta di ritorno ad un'infanzia della storiografia, ad un'età precedente all'acquisto della «discrezione», della capacità di discernimento: un ritorno ad una lettura pre-critica delle fonti processuali. In un certo senso, Toaff poteva perfino risparmiarsi la fatica della scrittura: era sufficiente un'anastatica di certa letteratura apologetica di fine Ottocento.

Anna Foa su: "Pasque di Sangue"

Anna Foa: "rovesciamento senza prove" "Il suo libro non sta in piedi dal punto di vista storiografico".


Anna Foa Storico del Rinascimento, professore di Storia Moderna Università La Sapienza, che si è occupata in particolare di processi alle streghe.
Scheda di Anna Foa

Di seguito, un'intervista di Roberto Beretta ad Anna Foa, pubblicata da AVVENIRE
del 9 febbraio Online Grazie a Informazione Corretta

E' stata pacata Anna Foa (su Repubblica di ieri), nella recensione alle Pasque di sangue del collega e correligionario Toaff, che tanto scalpore hanno suscitato ancor prima della loro uscita. «Non sembra proprio – scriveva la storica dell’università di Roma – che Ariel Toaff abbia trovato fonti che rovescino l’interpretazione tradizionale. Districarsi nella gran mole delle sue eruditissime note è arduo, ma quando ci si riesce si ha la sensazione di ritrovarsi con nulla di concreto in mano. Il suo libro è una reinterpretazione, basata sulla sua personale rilettura delle stesse fonti su cui gli storici si sono basati invece per respingere l’accusa».
Oggi, dopo aver letto le interviste in cui Toaff si paragona a Maimonide (il filosofo medievale ebreo condannato dai rabbini) e sostiene che il suo libro si riferisce a delitti rituali di «pochi estremisti» ebrei e «al massimo in uno o due casi», la signora è assai meno diplomatica: «Sì, i suoi interventi sui giornali mi hanno molto turbata. Toaff non è Maimonide. Il suo libro non sta in piedi dal punto di vista storiografico. Che poi nelle interviste abbia fatto marcia indietro non salva la situazione: altro che pochi casi, il suo studio parla di una situazione generale di sacrifici umani durata 4 secoli».
Ma che cosa non la convince nel lavoro del collega?
«Non mi convince il fatto che rovesci completamente l’interpretazione storiografica accreditata senza avere nessuna prova di sostegno. Ariel ha riletto le deposizioni al processo e dice che sono troppo concordanti per non essere vere; ma proprio noi storici abituati a lavorare su fonti giudiziarie così univoche sappiamo che un quadro del genere è indice di orientamento da parte di chi fa le domande, e dunque falsa la verità del documento; tra l’altro all’epoca gli interrogatori venivano fatti sotto tortura, metodo che a Trento è stato ampiamente usata».
D’accordo. Ma perché negare la possibilità che una frangia isolata, una «scheggia impazzita» dell’ebraismo abbia potuto uccidere un bambino?
«Certo che possiamo ipotizzarlo: uno o due casi di infanticidio figuriamoci se non possono essere avvenuti, né sostengo che gli ebrei siano immuni da delitti del genere (comunque questi pochi casi Toaff li tiri fuori, perché nel suo studio non ci sono...). Ma il libro non dice questo. Ritiene invece che per 4 secoli gli ebrei askhenaziti si siano dedicati all’omicidio nel quadro di una ritualità trasformata in odio contro i cristiani: una generalità d’usanza non provata da alcuna fonte».
Ma le sette ultra-ortodosse dei «cannaìn» (i «gelosi») citate da Toaff esistevano o no?
«Sono fenomeni comprovati molto poco e in ogni caso non a Trento; lo stesso Toaff confessa che lassù la comunità ebraica non era particolarmente osservante. E non porta nessuna prova neppure dal punto di vista delle dichiarazioni dei rabbini su fenomeni come le cosiddette "Pasque di sangue". La ritualità col sangue è assolutamente contraria a quella ebraica e Toaff non riporta nemmeno un’affermazione di rabbino che dica il contrario. Posso pensare che alcuni gruppi chiusi avessero così in odio i cristiani da decidere di reagire con violenza alle persecuzioni, ma ben altro conto è che ciò venga inserito in una ritualità ebraica: cosa che sarebbe assolutamente contraria alla norma. Quanto all’ipotesi di un commercio di sangue cristiano, la definirei allucinatoria».
Ma che cosa dice della reazione del mondo ebraico, forse eccessiva davanti a un testo che è comunque uno studio storico su fatti di 5 secoli fa?
«La mia recensione infatti è stata pacata e non di scomunica. Però capisco che il mondo ebraico – il quale ha vissuto l’accusa di infanticidio sulla sua pelle, sa che è stata usata da Hitler contro di lui, ha visto tante leggende del genere riemergere di tanto in tanto e con esiti molto tragici – abbia risposto all’articolo che annunciava il libro di Toaff con un’onda emotiva molto forte».
Ma allora significa che su certi fatti è meglio non indagare nemmeno, per non suscitare pericolose tentazioni?
«Forse è bene indagare senza sensazionalismi. Non emettere un libro che rovescia una storiografia consolidata senza avere nemmeno una prova per affermare la propria verità eterodossa».


Giacomo Todeschini su "Pasque di Sangue"

Giacomo Todeschini: "Un libro di storia mal fatto" "colpisce la totale disattenzione alla storiografia specifica"

Giacomo Todeschini Storico Medioevalista , professore ordinario, dipartimento di Storia e Storia dell'arte Università di Trieste Scheda e pubblicazioni alcuni suoi volumi.

La REPUBBLICA ospita la stroncatura dello storico Giacomo Todeschini (che Sorbi nella sua intervista accomuna a Toaff!) Online grazie a Informazione Corretta

Il nuovo libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue (edito da Il Mulino: ne ha parlato ieri su queste pagine Anna Foa), prima ancora di essere un libro facilmente utilizzabile da parte di chi oggi nega la differenza fra carnefici e vittime, di chi crede di equilibrare la storia dichiarando l´equivalente malvagità degli uni e delle altre, è un libro di storia mal fatto.
L´autore ritiene appropriato, è evidente da ogni capitolo e da ogni frase, restituire vita e colore alle vicende ebraiche medievali ripartendo dai processi per omicidio rituale intentati in Europa occidentale, dal dodicesimo secolo in avanti, contro varie comunità ebraiche, e di norma conclusi da condanne e stermini. Appare profonda la convinzione dell´autore che una ricostruzione retorica di passioni estreme, agguati, subdoli traffici, tentati avvelenamenti, fughe, torture e massacri, possa rendere avvincente la lettura del libro ad un pubblico assuefatto alle truculenze cinematografiche; analogamente da ogni riga affiora la convinzione storiograficamente assai pericolosa di una maggiore "leggibilità" della storia ebraica che rimandi, prendendoli sul serio, ai più triti e divulgati stereotipi antisemiti.
Meglio dunque che la storia in questione abbia protagonisti variopinti e psicologicamente semplici: avventurieri ebrei dediti a "loschi traffici", un "ingegnoso medico di Candia", un "giovane e bizzarro pittore", un rabbino tedesco circoncisore ("il Tagliatore"!), "pargoli" ebrei sottoposti alla "lama letale del coltello". E poi, perché no, cannibalismo, lebbra, suicidio, fiumi di sangue. La vita ebraica, diversamente da quanto avveniva in un precedente e bel libro dello stesso Autore sugli ebrei umbri, è dunque colta, nel momento del pericolo incombente e della minaccia di morte, come una vita collettiva più interessante perché minacciata, più affascinante perché incarnata da ignobili personaggi degni del più squallido fra i romanzi. Questi ebrei inferociti e minacciosi sono in grado, d´altra parte, secondo Ariel Toaff, di essere così spaventosi perché capaci, come la polemica antisemita di matrice cattolica sostiene a partire soprattutto dal XVIII secolo, di riassumere una vasta tradizione culturale anticristiana nell´ambito di pratiche religiose e rituali decisamente pericolose per l´ambiente maggioritario circostante.
Scrive Toaff che il mondo ebraico europeo occidentale era un mondo «chiuso in se stesso, impaurito e aggressivo verso l´esterno, spesso incapace di accettare le proprie dolorose esperienze e di superare le proprie contraddizioni ideologiche… Un mondo che, sopravvissuto ai massacri e alle conversioni forzate di uomini, donne e bambini, continuava a vivere traumaticamente quegli avvenimenti in uno sterile sforzo di capovolgerne i significati, riequilibrando e correggendo la storia».
Il linguaggio come sempre è indicativo, ed in questo caso rivela lo sforzo di tradurre in termini "laici", e contemporanei, la sommaria analisi dell´Ebraismo condotta tradizionalmente dall´apologetica antisemita desiderosa di far apparire i non-convertiti come dei disadattati con venature psicotiche. La retorica non riesce tuttavia a coprire le vistose lacune metodologiche e bibliografiche dell´opera. Tutto il volume è infatti fondato sulla rilettura non critica di fonti processuali cristiane, la cui logica è stata da tempo decodificata dagli storici.
È notissimo che gli interrogatori dei testi fra medioevo ed età moderna venivano verbalizzati secondo una logica discorsiva che normalmente attribuiva agli accusati, previamente sottoposti a tortura, discorsi e minuziose descrizioni enunciati in realtà dai giudici, sulla base più che di "prove" (il concetto stesso di prova era molto diverso da quello poi maturato nei secoli), di convinzioni a loro volta derivate da una sistematica cultura teologica. Era sufficiente un breve assenso dell´imputato al discorso inquisitorio, perché nel verbale risultasse una confessione di più pagine. D´altra parte, la volontà dell´autore di costruire una narrazione efficace, lo induce, oltre che appunto a dare un valore di verità a testimonianze notoriamente manipolate, a passare con disinvoltura da fonti storiche significative a livello ideologico e controversistico (come quelle che rimandano alle discussioni fra teologi ebrei e cristiani nel Medioevo) a fonti storiche locali come quelle che narrano secondo logiche apologetiche ed agiografiche le vicende di beatificazione di santi e beati, primo fra tutti Simonino di Trento.
Queste due tipologie di fonte storica sono connesse, spregiudicatamente, da interpretazioni libere e ingiustificate. Primeggia fra tutte l´idea, spesso ripetuta, che la rievocazione del sacrificio d´Isacco nel rituale pasquale ashkenazita sia la base del sacrificio dei fanciulli ebrei minacciati da conversioni forzate, e che, poi, fondi gli omicidi rituali. Passi dagli scritti del rabbino Efraim di Bonn vissuto alla fine del XII secolo, brani particolarmente tendenziosi dalla famigerata cronaca del processo contro gli ebrei di Trento pubblicata dal francescano Benedetto Bonelli nel 1747, il Toledot Yeshu, un testo ebraico precedente all´ottavo secolo, vengono pazientemente cuciti insieme per dimostrare la tesi dell´Autore, e cioè l´esistenza di una stretta relazione fra controversie teoriche ebraico-cristiane e aggressività ebraica anticristiana.
Complessivamente colpisce la totale disattenzione dell´autore alla storiografia specifica sulle varie questioni, ma soprattutto impressiona la sua indifferenza nei confronti dei numerosi studi dedicati da cinquant´anni a questa parte a ciò che dovrebbe essere al centro di un libro sul tema dell´omicidio rituale: e cioè l´elaborazione teologica e narrativa cristiana, sin dal II-III secolo, di stereotipi della diversità ebraica, sfocianti poi, dal XII secolo, in forza delle profonde trasformazioni economiche e politiche europee, nel mito dell´aggressività distruttiva di coloro che non appartenevano alla società dei cristiani.

Adriano Prosperi su "Pasque di Sangue"

"Nessun riscontro persuasivo"
"Buon teorico, pessimo seguace del metodo che propone"

Da REPUBBLICA di sabato 10 febbraio, riportiamo una recensione del libro di Toaff firmata da Adriano Prosperi, storico modernista dell'Università di Pisa: Online su Informazione Corretta

La scheda di Adriano Prosperi

La data del giorno della memoria è appena passata quando si deve aprire il dossier del cosiddetto "omicidio rituale"ebraico. Lo si fa con grande disagio. Ma due ragioni impongono che si torni a parlare di qualcosa che credevamo sepolto per sempre sotto gli orrori che ha prodotto e legittimato: la prima è che il libro esce in una autorevole collana di cultura storica; la seconda è che l´ipotesi che ci siano state delle "pasque di sangue" - sangue di bambini cristiani torturati e dissanguati – viene avanzata da uno storico che si chiama Toaff e che insegna in una università ebraica.
Immaginiamo che ci sia stata della sofferenza in uno storico ebreo davanti a una scoperta del genere e un conflitto interiore davanti al dovere professionale di non dire il falso e di non tacere niente del vero. Ma qui la sofferenza è cancellata dall´emozione di chi propone la madre di tutte le revisioni. La quarta di copertina strizza l´occhio al lettore: questo libro "affronta coraggiosamente uno dei temi più controversi nella storia degli ebrei d´Europa". Non si capisce bene dove sia il coraggio visto che la tesi qui sostenuta legittima le accuse dei vincitori e le persecuzioni dei vinti. E comunque non si tratta certo di un tema controverso. Non lo è per gli storici: nessuno storico degno di questo nome, almeno finora, ha mai dato corpo all´accusa dell´infanticidio rituale ebraico. Né lo è più da tempo per la Chiesa cattolica nel cui nome operarono i giudici dei processi contro gli ebrei. Lentamente ma con decisione, le anime dei bambini presunte vittime degli ebrei, elette alla gloria degli altari a furor di popolo, ne sono state ufficialmente fatte discendere.
Ma vediamolo questo libro. La prima sorpresa è che non ci sono documenti nuovi, solo un uso diverso delle fonti già note. La prova della sua tesi Toaff la trova nelle confessioni fatte dagli ebrei nei processi intentati a loro carico: qui, secondo lui, imputati diversi a distanza di tempo e di luogo non solo riferirono gli stessi particolari ma rivelarono anche qualcosa che solo gli ebrei potevano conoscere. Toaff non lo dice, ovviamente, ma la prima parte del suo argomento è identica a quello che dicevano secoli fa gli inquisitori, quando le accuse di infanticidio rituale passarono dagli ebrei alle streghe: la realtà del Sabba stregonesco emergeva secondo loro dalla perfetta sovrapponibilità delle confessioni delle imputate. La seconda partedell´argomento è dottamente argomentata con una citazione di Carlo Ginzburg: quando nei documenti della violenza dei persecutori si trovano frammenti della cultura perseguitata che non trovano riscontro in quella dei persecutori si apre uno spiraglio sull´autentica identità delle vittime. Il principio è buono e ha consentito a Ginzburg di rileggere in modo nuovo un grande problema storico. Ma Toaff, buon teorico, è un pessimo seguace del metodo che propone.
Il problema è semplice : è vero o no che nelle Pasque ebraiche veniva usato sangue cristiano procurato con infanticidi? Che gli imputati sottoposti a tortura lo ammettessero non è una prova, visto che questo era esattamente ciò che i giudici volevano far loro dichiarare. Bisogna cercare riscontri puntuali di quelle conoscenze segrete svelate a giudici ignari: e Toaff non ce ne offre nessuno che appaia persuasivo. Però almeno una volta annuncia trionfante di aver trovato i "precisi riscontri" di cui va in caccia. Vediamoli. Si tratta della testimonianza resa da Giovanni da Feltre, ebreo convertito, nel celebre processo trentino del 1475 per l´infanticidio del piccolo Simonino. Giovanni era figlio dell´ ebreo Sachetus, originario di Landshut, in Baviera, dove nel 1440 cinquantacinque ebrei erano statibruciati con l´accusa di aver ucciso un bambino. Giovanni , dopo aver tentato di schermirsi, finì col confessare che suo padre nel giorno della Pasqua ebraica era solito versare sangue del bambino cristiano nel suo vino e spargerlo sulla mensa maledicendo i cristiani; e aggiunse che tutti gli ebrei facevano così in segreto e che lui lo aveva visto e sentito. Questo documento, così importante per lui, Toaff lo cita di seconda mano. Se avesse avuto la pazienza di risalire all´ottima edizione che ne hanno fatto Anna Esposito e Diego Quaglioni avrebbe scoperto: 1) che Giovanni era in prigione per altro reato , per cui la sua testimonianza di uomo "infamatus" non era valida in giudizio. Chi se ne servì fece un abuso di potere e torchiò un uomo che aveva motivi forti per prestarsi alla volontà del potere; 2)che Giovanni non rivelò qualcosa che il giudice non conosceva, ma confermò colorendolo con qualche dettaglio ciò che il podestà gli aveva suggerito nella domanda verbalizzata in processo. Lasua testimonianza fu decisiva per mettere in moto la feroce macchinagiudiziaria.Ma quella testimonianza e l´intero processo furono giudicati nulli dalcommissario apostolico inviato da papa Sisto IV (perché quel processo trentino fu così abnorme da attirare l´attenzione di Roma). Le regole di procedura penale tenevano conto di qualcosa che in questo libro non risulta mai con la dovuta chiarezza: il terribile potere della tortura, mezzo capace di far confessare qualunque cosa a chiunque. Le norme imponevano che si ricorresse alla tortura solo in presenza di prove e testimonianze valide. Sarebbe come seoggi, scomparso per fortuna (ma a qual prezzo) il sospetto di infanticidio rituale contro gli ebrei ma sopravvivendo altre categorie sociali di diversi, i giudici torturassero gli zingari ogni volta che scompare un bambino. Invece nel 1475 il podestà di Trento, spinto dal vescovo-principe Hinderbach, sottopose gli ebrei trentini a torture violentissime in assenza di prove valide e poi assunse come prova le confessioni dei torturati. Subito dopo in quel drammatico scorcio del ‘400 ci fu un´epidemia di casi di presunti infanticidi edi violenze antiebraiche. L´Inquisizione spagnola nacque sull´onda delle emozioni antiebraiche per il caso di un "santo bambino". Ancor oggi nelle chiese spagnole, nonostante i divieti della Chiesa di Roma, capita di vedere venerati bambini crocifissi da ebrei. Ma di questi casi Toaff curiosamente non parla: e questo perché ha un suo paradigma interpretativo che attribuisce l´infanticidio e più in generale l´omicidio rituale non a tutti gli ebrei ma solo agli ashkenaziti. Quel mondo ebraico di area germanica, imbarbarito nei rituali e dominato da una superstiziosa fiducia negli usi terapeutici e magici del sangue, oltre che animato da odii più radicati nei confronti dellapopolazione cristiana, gli è sembrato il candidato giusto per l´originedell´infanticidio e per la sua diffusione fino nelle propaggini trentine e venete. Ma perché non ci dice che dal mondo germanico veniva anche il vescovo Hinderbach e che nella sua testa la convinzione della colpa degli ebrei era fissa fin da prima del processo? così fissa e stabile da andare in cerca in casa dell´imputato Samuele del coltello rituale del sacrificio e, non trovandolo, da accontentarsi di far confessare sotto tortura a Samuele che gli ebrei si erano irritualmente serviti di una tenaglia.
Resterebbe da dire del dubbio coniugio fra l´antropologia dei riti ebraici qui diffusamente esposta e la storia dei rapporti di potere e dei pogrom. Il modo di procedere del libro è come un gioco a carte truccate: le storie che le vittime raccontarono per saziare i carnefici sono prese per buone, ricucite con altre storie e amalgamate con abbondante salsa antropologica di storia dei rituali ebraici. Ma accostare pratiche rituali ebraiche più o meno connessecol sangue e ammissioni di infanticidi fatte da persone sotto tortura vuol dire costruire un castello senza fondamenta. Anche le streghe, eredi di quell´accusa inquisitoriale di infanticidio rituale già sperimentata contro gli ebrei confessarono ai giudici dell´Inquisizione (spesso perfino senza torture) di avere fatto morire bambini, di averli ritualmente mangiati, di avere maledettola croce e trescato col demonio. Per rendere credibili le confessioniraccontarono molti episodi e denunziarono persone reali come complici.Finché all´inizio del ‘600 un documento ufficiale del Sant´Uffizio romano ordinò che non si prestasse più fede né alle confessioni delle streghe pentite, per quanto circostanziati, né agli indizi di riti magici, né alle accuse delle popolazioni cristiane a proposito di presunti infanticidi: per procedere in via giudiziaria ci doveva essere il corpo del delitto, cioè la prova che i bambini erano stati effettivamente fatti morire dalle streghe con arti diaboliche. Così finì la storia del sabba stregonesco. Ben prima era entrato in crisi nella cultura dei giudici dell´Inquisizione anche quel paradigma dell´infanticidio rituale ebraico che ora salta fuori come uno scherzo carnevalescodi pessimo gusto. Arnaldo Momigliano diceva che, se uno storico sbaglia nell´uso delle fonti, ci pensano i colleghi a farglielo notare con la debita durezza. Però Momigliano non poteva prevedere che, cambiando i tempi, la critica storiografica venisse amministrata dai professori non dalla cattedra universitaria ma dalla redazione di un giornale o dallo studio di una televisione: con l´inevitabile dose difretta e – talvolta, ma non necessariamente – di cinismo che ne deriva.

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