27.1.06

"Buone Notizie: Hamas ha vinto"

Sorridi, sei sul TBLOG

Ottolenghi su il riformista, riportato da Informazione Corretta. Analisi spietata e controcorrente. La vittoria di Hamas è per Ottolenghi una buona notizia, se non altro perché evita lo scenario peggiore: un Fatah dimezzato con una Hamas forte ma senza vere responsabilità, in grado di fare
politica con le milizie, mentre il governo si dichiara incapace di fermarla.

Ora Hamas è invece in una posizione impossibile. Non può più invocare l'estremismo e la guerra: deve praticarli oppure cambiare tutta la sua strategia. Ha tanto bisogno di una copertura "moderata" da incalzare che ha chiesto la collaborazione (rifiutata) di Fatah. Hamas è sola ed è in vetrina. Politica dell'ANP e Hamas sono ormai una sola cosa. Le milizie sono quelle del partito al governo. Non ci sono più né scuse né alibi. Questo per Ottolenghi.

Per me, invece, è assolutamente possibile che, allo scopo di tenere insieme tutto il possibile (relazioni, consenso, potere miliare) venga replicato quasi negli stessi termini il teatro di Arafat. Una leadership politica "moderata" che finge di dialogare, delle milizie estremiste che il governo "non riesce a tenere a freno", la "comunità internazionale" che finge di crederci. L'unica cosa certa è che la separazione unilaterale continua e deve continuare. E' l'unica opzione che appare avere un senso. Ma ritirarsi davanti ad Hamas è più difficile di prima.

Tecnorati tags






La foto è di Tina Modotti

E Israele va...

Sorridi, sei sul TBLOG

Dopo il voto palestinese, Kadima vola nei sondaggi.La minaccia di una ANP governata da Hamas spinge l'elettorato israeliano in direzione della... ragionevolezza. Kadima cresce ancora, fino a dominare la Knesset virtuale con 44 seggi. [leggi Yediot Aharonot]Stanca dell'occupazione, stanca di trattare con un partner evanescente, inafferrabile, inaffidabile, Israele marcia sempre più sicura verso la via della separazione unilaterale.

Tecnorati tags





La foto è di Elliott Erwitt

La chiarezza

Sorridi, sei sul TBLOG

La vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi dimostra in primo luogo che la magioranza di quel popolo sogna la distruzione dello Stato d'Israele. Questo conferma la diagnosi di Ariel Sharon, sintetizzata nella sua celebre formula secondo cui è dalla sicurezza che può nascere la pace, e non viceversa. La tesi populista secondo la quale i popoli sono naturalmente pacifici e sono soltanto i governi a puntare alla guerra ha dimostrato proprio nel caso palestinese tutta la sua natura retorica e inconsistente. [...]
E' in base a una considerazione realistica di questo quadro che Sharon ha scelto la via della sfida unilaterale del ritiro dalla striscia di Gaza, che metteva l'Autorità nazionale palestinese di fronte al dilemma tra combattere seriamente il partito armato di Hamas o soccombere. Quelli che attribuiscono a Israele, o all'america o persino all'Europa, la responsabilità di quello che è successo, non tengono conto dei dati reali della situazione. Non vedono o non vogliono vedere il carattere bellicoso del fondamentalismo islamico, che si espande a macchia d'olio quando non trova sulla sua strada avversari determinati. [...]
In questa situazione disastrosa c'è solo un elemento che può essere considerato positivo: la maggiore chiarezza. Ora è evidente che la pace in Medio Oriente, se mai ci sarà, sarà una pace tra nemici, che quindi potrà essere raggiunta solo in base a solidissime garanzie di sicurezza.

Sergio Soave sul Foglio di oggi. Inserto pag. 1

Tecnorati tags


26.1.06

Scontri istituzionali a Ramallah

A poche ore dalle anticipazioni dei risultati, il governo palestinese si dimette, ultrà di Hamas attaccano il parlamento palestinese di Ramallah, strappano la bandiera e alzano la bandiera verde. Scontri con i supporter di Al-Fatah, spari, feriti... [Leggi tutto da Arutz Sheva]

Aggiornamento: i feriti sono 13. La maggioranza di Fatah sembra decisa a declinare l'offerta di Hamas per un governo di unità nazionale. Si va verso il monocolore verde. [su yediot aharonot]

Tecnorati tags


Squadra che vince non cambia

Sorridi, sei sul TBLOG


Hamas sembra conquistare la maggioranza. [leggi yediot aharonot] Non ha intenzione di disarmare.
Al-Zahar sostiene che non cambierà una parola nello statuto di Hamas (un
pezzo di delirante antisemitismo religioso che meriterebbe di essere letto e diffuso) che prevede come programma la distruzione di Israele.
Israele deve trattare con un governo contenente Hamas?
Le intese hanno ancora qualche valore (ammesso che lo abbiano mai avuto)?
C'è chi dice che Abu Mazen, in caso di problemi, scioglierà il parlamento.
Ma comunque tutti i ragionamenti sulla volontà di pace e di accordo che sale
dalle strada, oggi si rovesciano. Se era difficile trattare prima, probabilmente sarà impossibile farlo adesso (a meno di ragionamenti oltre il machiavellico). Il sogno è stato bello. Ma è durato meno di una notte.

La via centrista, quella del ritiro unilaterale, o meglio della separazione dal problema, dietro robusta barriera - posizionata là dov è conveniente che sia da un punto di vista bellico, più che politico, esce rafforzata dal risultato del voto.

Tecnorati tags




La foto è di Robert Capa

21.1.06

E' qui per restare

Tra il fallimento della destra e quello della sinistra, Sharon, come Charles de Gaulle, ha creato un centro solido, fondato su una politica (il ritiro unilaterale). E come il gaullismo è sopravvissuto al suo fondatore, anche lo sharonismo e Kadimah sono qui per restare.
Shlomo Avineri su Forward

Tecnorati tags

Targeted killing no, risposta nucleare sì

Avevamo frainteso Chirac.

Quando condannava Israele per il targeted killing dello sceicco Yassin, forse non era l'idea in sé che lo disturbava. Era il modo non sufficientemente deciso. Non era stata sganciata l'atomica su Gaza.

Infatti, contro i nemici terroristi della Francia (e per terrorismo Chirac ha precisato che si può intendere anche il taglio delle forniture energetiche) Chirac annuncia che è possibile pensare all'uso di armi nucleari.

Mirabile il post di sylverlynx, che ringrazio.

Tecnorati tags


20.1.06

E' ora che si discolpi Golia

Sorridi, sei sul TBLOG
Giorgio Israel su Il Foglio, venerdì 20 2006
Risponde all'intervento di Chiara Sereni "La colpa di essere ebrei". Estratto. [Vale la pena di leggere tutto, il link è sistemato]

[...]
Evoco questo ricordo perché porta al tema che è al centro dell’intervento di Clara Sereni: la difficoltà di conciliare un’identità ebraica con una militanza comunista. È un problema che hanno vissuto tutti i dirigenti comunisti che non hanno accettato di sopprimere totalmente ogni legame con la loro identità ebraica, come fu il caso di Umberto Terracini. Nella mia modesta esperienza l’ho vissuto anch’io per lunghi anni ed è chiaro che Clara Sereni lo vive ancora e con tormento.
Nel suo intervento Clara Sereni denuncia due episodi che l’hanno ferita – e quanto duramente è facile capire da come ne parla! – l’uno pubblico e l’altro privato: essere stata presentata a una tavola rotonda della CGIL come “ebrea e scrittrice” e l’aver dovuto ascoltare, durante un pranzo di compleanno di amici di sinistra, espressioni di vero e proprio pregiudizio antiebraico.
Capisco il suo turbamento e le esprimo la mia solidarietà. Ma mi chiedo: delle due l’una, o il livello di pregiudizio antiebraico ha raggiunto nella sinistra livelli esplosivi, oppure Clara Sereni è in stato di catalessi da qualche decennio. Precisamente dal 1967, da quasi quarant’anni.
[...]
Da quel momento le cose iniziarono a prendere una piega sempre più brutta. [...]
Potrei raccontare tanti altri episodi del genere, pranzi e cene come quelle di Clara Sereni, a suon di «Come mai voi ebrei siete quasi tutti commercianti?». Sarà per un’altra volta. Per ora mi limito a dire che l’episodio di cui sopra mi servì a capire una volta per tutte una cosa: che potevo scegliere di restare nella sinistra comunista o uscirne ma, qualsiasi cosa avessi fatto, ai razzisti e agli antisemiti occorreva rispondere soltanto con un calcio – ovviamente verbale – nei denti e, se non basta, nel sedere.
È l’unica pedagogia che può svegliare la coscienza di coloro che sono in buona fede. Ed è l’unico modo di salvare la propria dignità e integrità, la verità e la giustizia. Quel che certamente avevo appreso è che non è possibile lasciarsi colpevolizzare, subire la richiesta inaudita di dover fare un atto di discolpa. L’ha capito questo Clara Sereni? Non pare, visto che dice: «come tante altre volte, ho dovuto, come ebrea, fare il mio “Radames, discolpati”». “Tante” altre volte? L’ha fatto tante altre volte, e l’ha rifatto ancora questa volta senza trovare innaturale assoggettarsi a un simile infame ricatto?
Per parte mia, il decennio abbondante di militanza comunista che seguì all’episodio ginostriano – e che fu tutt’altro che facile – terminò proprio quando venne l’epoca delle richieste pubbliche di discolpa. Se ne ricorda, Clara Sereni? Fu l’epoca della guerra del Libano, nel 1982, quando a sinistra si chiedeva e richiedeva a gran voce agli ebrei di tutto il mondo di dissociarsi da Israele e di ottenere un salvacondotto di rispettabilità attraverso una condanna del governo Begin. Rosellina Balbi denunciò con forza questa intollerabile pretesa in un memorabile articolo su La Repubblica: “Davide discolpati”. Altro che Radames… Fu un periodo cupo. Le umilianti giaculatorie di un certo numero di ebrei di sinistra non servivano a placare le arroganti richieste di dissociazione. E a forza di fomentare l’odio venne l’evento nefando: nel corso di un corteo dei tre sindacati confederali venne deposta una bara davanti al Tempio maggiore di Roma. E, infine, in questo clima di sordida ostilità, il terrorismo palestinese prese il coraggio di compiere l’assalto armato al Tempio che vide l’uccisione del piccolo Stefano Taché.
A ventiquattro anni di distanza ancora Clara Sereni non ha assimilato quella lezione e accetta di sottoporsi alla pratica umiliante della “discolpa”? Occorre forse rispiegare perché non dovrebbe? Non discuto il suo legittimo diritto di continuare ad essere comunista e di difendere l’attualità di Marx (il che mi fa venire in mente quanto diceva nel 1989 il mio amico scrittore Alberto Lecco: «Il comunismo è finito? Vedrete… Comincia adesso…). Non discuto la legittimità dei suoi giudizi su Israele e sulla questione palestinese. Siamo su posizioni diversissime, ma questo è irrilevante. Appunto: che c’entra? Perché mai, per conquistarmi il diritto a non essere afflitto da tirate antisemite, debbo fare una fede di professione comunista, antisionista, filopalestinese e dimostrare di essere un “ebreo buono”?

Insomma, perché, per non essere colpito dal razzismo, debbo legittimare il razzismo? [...]

A ventiquattro anni dalla campagna “Davide, discolpati”, Clara Sereni, invece di continuare a sottoporsi al ricatto, a “giustificarsi di essere ebrea”, a lasciarsi brutalizzare neanche più nelle vesti di David ma in quelle di Radames, dovrebbe intimare ai Golia razzisti: discolpatevi voi della vostra infamia, e vergognatevi, se ne siete capaci.
Tutto il suo intervento è intriso di patetiche illusioni. Si può davvero credere di ammorbidire i cattivi ripetendo la solita giaculatoria anti-sharoniana (“la politica del governo Berlusconi ha spiaccicato ebrei e Italia sulla politica di Sharon”). Che senso ha, mentre mezzo mondo ha fatto ammenda dei luoghi comuni su Sharon, continuare con la tiritera su Sharon boia? E perché mai la mossa di apertura verso Israele del ministro degli esteri Fini sarebbe stata efficace ma “scorrettissima”? Dove sta la scorrettezza? Nel non essere rimasto fedele a un’ortodossia fascista? Perché bisogna dire delle cose senza senso per non lasciar dubbi sulla propria ortodossia di sinistra?
Infine, forse l’illusione più patetica è tentare di convincere la sinistra a voler bene agli ebrei, per non regalarli alla destra e perdere le elezioni. Gli ebrei sono quattro gatti, ammette Clara Sereni, ma le elezioni si vinceranno per pochi voti, e quelli ebraici potrebbero essere decisivi. Ora, posto che su 30.000 ebrei non sono pochi quelli che voteranno per il centro-destra, quale sarebbe lo spostamento possibile:1000 o 1500 voti? E la sinistra, se non ci sta a voler bene agli ebrei per intima convinzione, dovrebbe mostrarsi benevola per l’opportunità di non perdere quel migliaio di voti? Me le immagino le sghignazzate dei commensali antisemiti di Clara Sereni… Peraltro, dopo aver fatto ricorso a un simile argomento, l’unica risorsa disponibile sarebbe mettersi in ginocchio e supplicare piangendo.
Capisco perfettamente l’ansia di Clara Sereni di perdere il rapporto con la sinistra, il suo attaccamento alla sua identità progressista. Ma la domanda è: qual è il modo più costruttivo e dignitoso per mantenere un rapporto autentico e realmente proficuo con quel mondo?
Per rispondere vorrei tornare a quel lontano 1982. Dopo la deposizione della bara davanti al Tempio maggiore di Roma, lo scandalo che ne seguì fu aggravato dalla reticenza delle dirigenze sindacali e, in particolare, dall’atteggiamento a dir poco ambiguo dell’allora segretario della CGIL Luciano Lama. Per me e per tanti altri fu la goccia che fece traboccare il vaso. Scrissi una lettera di sette pagine contro Lama che, in tutto o in parte, fu pubblicata da parecchi giornali e, con altri, promossi un appello che fu pubblicato su Repubblica col titolo “Lama e gli ebrei”. Ciò mi costò l’ostracismo di tanti ex-compagni. L’avviso venne da alto loco e fu perentorio: se non si ritira la lettera e l’appello la rottura è totale. Ancor oggi c’è gente che attraversa la strada se mi vede arrivare sullo stesso marciapiede. E appena qualche anno fa, quando raccontai queste vicende nel libro “La questione ebraica oggi”, venne fuori qualche maggiordomo della memoria di Lama a sostenere che quel che dicevo era falso, che Lama si era al contrario adoperato a condannare l’atto della deposizione della bara, che non aveva mai detto nulla di lontanamente equivoco. Insomma, ero io il fazioso, il rissoso e il calunniatore e il povero Lama era il crociato in difesa degli ebrei. Da non potersi credere. Riandai a leggermi l’appello pubblicato su La Repubblica pensando di essere ormai in preda all’Alzheimer. Diceva una cosa durissima: che il commento di Lama era «reticente e tale da offrire copertura [sic!] a quanti si sono resi responsabili di quegli atti», che erano definiti senza mezzi termini «neonazisti» e non accidentali bensì «pensati e organizzati». E sapete quali firme c’erano in calce a quell’appello? Fra le altre, quelle di noti proto-berlusconiani come Massimo Cacciari, Aniello Coppola, Giacomo Marramao, Claudio Pavone, Mario Pirani, Beniamino Placido, Luigi Spaventa. Eppure, nel 2002, ero diventato io l’unico cattivo e fazioso. Una tecnica arcinota e collaudata, quella della demonizzazione e dell’isolamento del reprobo, codificata dall’immortale maestro Josif Vissarionovic Dugasvili.
Ciò detto, ho forse perso qualcosa agendo in questo modo? Non credo proprio. Che perdita è mai quella della finta amicizia di gente di quella fatta? Era meglio non perdere il saluto dell’allora segretario della sezione universitaria del PCI (che ancora fa finta di non conoscermi) oppure sentirsi riconoscere pubblicamente da Piero Fassino che la mia “furia iconoclasta” è servita a stimolare riflessioni utili e costruttive? Era meglio tenersi buoni gli intellettuali che parlano di razza ebraica, o stabilire un dialogo fertile e costruttivo con persone come Giuseppe Caldarola e Umberto Ranieri? Esiste e cresce una sinistra aperta, attenta e senza pregiudizi sulla questione israeliana e sulla questione ebraica. Con questa bisogna parlare e non amareggiarsi i pranzi con la gentaglia: esistono pur sempre le porte per andarsene e ottimi ristoranti. Cara Clara Sereni, chi cova i pregiudizi di cui lei racconta non è certamente una persona “per bene” e, se è “di sinistra”, non cambia nulla: a destra e a sinistra i razzisti sono la stessa pasta di mascalzoni.
So bene quanto certi percorsi siano difficili e tortuosi. Sono l’ultimo a pretendere di giudicare, tanto meno di condannare. Ma ogni percorso nel deserto deve prima o poi finire nella terra promessa. Che è quella in cui si vive con una coscienza libera e, tra il partito-che-rappresenta-il-destino-storico e la verità, si sceglie la verità.

Giorgio Israel

Tecnorati tags



La foto è di Walker Evans.

19.1.06

L' ONU cancella Israele

Sorridi, sei sul TBLOG
Per la giornata di solidarietà col popolo palestinese, l'ONU ha pensato bene di esporre una carta del 1948 che non comprende lo stato di Israele. [leggi l'articolo di Israel Insider]

Tecnorati tags





Il quadro è di Kathy Gollahon

Diplomazia iraniana al lavoro

Sorridi, sei sul TBLOG
Volevo passare qualhe giorno senza scrivere di Iran, ma è stato impossibile. Oggi il terrorrismo iraniano ha colpito ha Tel Aviv con un attacco suicida della Jihad Islamica, il braccio di Teheran nei territori.

Ci sono 30 feriti, tra cui qualcuno gravissimo. Fortunatamente, l'unica vittima -per il momento- è l'attentatore.

Tecnorati tags





La foto è di Weegee

Nessuno è profeta in patria

Sorridi, sei sul TBLOG
A me, Paradise Now, il film palestinese sui due kamikaze, vincitore di un Golden Globe, ha fatto un po' incazzare, ma tutto sommato è piaciuto abbastanza.
E' piaciuto molto meno a Nablus, la città che fa da sfondo all'azione. E dove il film non è stato ancora proiettato.
Ma qualcuno l'ha visto sui canali satellite e trova che i due protagonisti "non sono abbastanza eroici e credenti", per altri "non è interessante". Ma forse il giudizio che rappresenta davvero la pietra tombale del film è quello espresso da un uomo con la pisola alla cintola, che ha voluto restare anonimo "deve essere buono per Israele, o non avrebbe mai potuto avere successo a Hollywood".
Leggi l'articolo.

Tecnorati tags




La foto è di Elliot Erwitt

18.1.06

Il salto dell'Iran

Sorridi, sei sul TBLOG
Un articolo da Israpundit:

La questione, naturalmente, è cosa esattamente gli iraniani stiano combinando. Non hanno ancora armi nucleari. Gli isrealiani le hanno. Gli iraniani hanno lasciato intendere che (a) vogliono costruire armi nucleari e hanno lasciato capire, il più chiaramente possibile senza dirlo che (b) vogliono usarle contro Israele.
Apparentemente, queste dichiarazioni sono come implorare un bombardamento preventivo da parte di Israele.

Ci sono molte cose che uno potrebbe sperare, ma di solito una visita a sorpresa dell'aviazione israeliana non è tra di quelle. Eppure, questo è esattamente quello che gli iraniani sembrano voler ottenere, e questo è quello che occorre capire.

Ci sono quattro possibilità:

1. Mahmoud Ahmadinejad, il presidente iraniano, è pazzo e vuole essere attaccato a causa di qualche trauma subito nell'infanzia.
2. Gli iraniani sono impegnati in una complessa manovra diplomatica, e tutto questo ne è parte.
3. Gli iraniani pensano di potersi procurare armi nucleari -- e un deterrente contro Israele -- prima che gli Israeliani attacchino.
4. Gli iraniani, veramente e razionalmente, darebbero il benvenuto a un attacco aereo Israeliano o anche americano

Cominciamo con la questione della pazzia. Uno dei modi per evitare di pensare seriamente alla politica internazionale è caratterizzare come un pazzoide chiunque non si comporti come noi vorremmo [...]

Il gioco a tre

Che sta succendo? Primo, gli iraniani stanno rispondendo agli USA. La posizione di Teheran in Iraq, chiaramente, non è quella che gli iraniani avevano sperato. Le manovre americane con i sunniti in Iraq e il comportamento dei leader sciiti hanno creato una situazione nel quale il risultato non sarà la creazione di uno stato-satellite dell' Iran.

C'è una questione molto più ampia. Gli Stati Uniti hanno gestito la loro posizione in Iraq, nella misura in cui sono riusciti a gestirla, manipolando la frattura Sciita-sunnita nel mondo islamico [...]. Dal momento dell'invasione dell'Iraq gli Stati Uniti si sono mossi avanti e indietro tra mondo sciita e sunnita e hanno ottenuto l'obiettivo di ogni gioco a tre: è diventato il pendolo tra sciiti e sunniti.

Reclamare la bandiera

[...] Nel 1979, quando l'ayatollah Ruollah Khomeini depose lo shah di Persia, era il centro dell'islamismo radicale. [...] Dovendo combattere lìIrak negli anni 80, l'Iran è rimasto coinvolto in una serie di relazioni necessarie ma compromettenti. [...]Gli iraniani hanno sempre visto Al Qaeda come uno sviluppo saudita e pakistano e di conseguenza, da un punto di vista sciita, non se ne sono mai fidati. L'Iran certamente non vuole che Al-Qaeda usurpi il loro posto come primo sfidante dell'Occidente. [...] Ahmadinejad avrebbe potuto continuare il minuetto con l'Occidente, ma ha preferito chiudere il gioco di Kathami con un botto. [...]. Le azioni di Teheran nel mondo islamico hanno cominciato a risalire.

Il gambetto nucleare

La seconda mossa è stata resuscitare --o proclamare a gran voce di aver riesumato -- lo sviluppo di un'arma nucleare. Questo ha segnalato tre cose:
1. La politica di accomodamento con l'occidente era finita.
2. L'Iran intendeva mettere le mani sull'arma nucleare per diventare l'unica vera sfida ad Israele e una potenza regionale con cui gli stati sunniti dovessero fare i conti.
3. L'Iran era preparato a correre un rischio che nessun altro attore musulmano era preparato ad assumere. Al Qaeda era un piccoletto.

Il fatto è che Ahmadinejad sa che non sarà in grado di mettere le mani sull'arma nucleare, se non con un estremo colpo di fortuna. Costruire un ordigno nucleare non è la stessa cosa che costruire un'arma nucleare. [...]

Un sacco di paesi non vogliono la bomba iraniana. Israele è uno. Gli USA un altro. Mettiamoci l'Arabia Saudita, la Turchia, la maggior parte degli 'stan. Ma ci sono solo due paesi che possono farci qualcosa. Israele non vuole le rogne, ma è quello che non può permettersi di non agire.
Gli USA non vogliono che Israele colpisca l'Iran, cosa che complicherebbe in modo drammatico la situazione americana nella regione, ma nemmeno vogliono entrare in azione loro.

Diplomazia intra-islamica

[...] Il loro focus sembra diventata una radicale diplomazia intra-islamica. Questo significa che potrebbero accettare volentieri un attacco non mortale da Israele o dalgi Stati Uniti. Questo farebbe splendere le credenziali iraniane di vero martire e combattente dell'Islam. Nello stesso tempo, gli Iraniani sembrano collegarsi ai sunniti su diversi livelli. Muqtada al-Sadr ha visitato l'Arabia Saudita di recente. Ci sono contatti tra estremisti sciiti e sunniti anche in Libano. Gli iraniani appaioni impegnati a creare il tipo di coalizione islamica che Al-Qaeda non è riuscita a costruire.
Dal punto di vista iraniano, se si riesca a costruire un'arma nucleare utilizzabile, è il massimo. Ma se invece fossero attaccati da Israele o gli Stati Uniti, nemmeno quello sarebbe un risultato disprezzabile-


Di George Friedman, STRATAFOR -

Tecnorati tags


La foto è di Henri Cartier Bresson

17.1.06

Guadagnare cinque anni senza bomba

Sorridi, sei sul TBLOG
Il nucleare iraniano ha l'aspetto di un enigma insolubile. I suoi rischi sono abbastanza chiari. Il vero rompicapo è quale politica di contrasto adottare. E addirittura se sia possibile o sensato adottarne una. Il bombardamento risolutivo pare essere impossibile. Quello non risolutivo sarebbe un disastro politico. L'embargo a una potenza petrolifera impensabile (e se attuato inutile). Il resto è ridicolo.

Il primo indizio della direzione che le cose stanno prendendo, forse, è nascosto nel misterioso incidente aereo di qualche settimana fa, che ha ucciso alcuni alti papaveri dell'esercito iraniano, tra cui il Gen. Ahmad Kazemi e 10 ufficiali. Quello che pochi hanno detto è che Kazemi era il responsabile dello sviluppo del missile Shihab, progettato per trasportare testate fin nel cuore dell'Europa. Kazemi non è il primo scienziato missilista a trovare una fine prematura. Pochi anni fa anche il Col. Ali Mahmud Mimand, fu trovato senza vita al suo tavolo. Nessuno è mai riuscito a capire se sia stato colpito dal Mossad o se sia stato torturato e ucciso dalle guardie della rivoluzione per spionaggio a favore d'Israele. Entrambe le versioni hanno circolato.

L'unico modo di agire contro l'Iran è attraverso operazioni coperte di intelligence, dice Shabbetai Shoval, ex membro dell'intelligence israeliano in un'intervista al Jerusalem Post.
L'obiettivo? Non certo fermare la corsa dell'Iran al nucleare, cosa che anche Shoval considera ormai impossibile. Ma:

"guadagnare cinque anni di tempo, sperando che in questo arco di tempo l'attuale governo iraniano venga rovesciato"
Operazioni come l'abbattimento del jet iraniano, sabotaggi che rendano inagibili le centrali, rapimenti. Una improvvisa mortalità di scienziati, come accadde a quelli irakeni nel 1980. Sperando che il tempo aiuti. E sapendo che le operazioni coperte, come successe col programma irakeno, potranno solo rallentare, non fermare, la corsa alla bomba. E sperando che il 1981 non arrrivi troppo presto.

Tecnorati tags






La foto è di Robert Frank

1.1.06

Conto alla rovescia

Sorridi, sei sul TBLOG

La Nato si sta coordinando con alleati e paesi dell'area per un attacco all'Iran, probabilmente aereo. Secondo il Jerusalem Post gli obiettivi sono stati già marcati nel 2005, da truppe speciali USA penetrate in Iran.

Tecnorati tags





La foto è di Gianni Berengo Gardin