30.6.06

Cartoline dal parlamento di Ramallah.

Sorridi, sei sul TBLOG

Un po' di capi terroristi se ne stanno in galera. Non al governo. Ci ho pensato molto, ma non riesco a rattristarmene.

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La foto è di Haaretz

29.6.06

Analisi: I due obiettivi di "pioggia d'estate"

Da Haaretz

Secondo l'analisi, Israele è entrata a Gaza perché l'azione del tunnel e il rapimento del soldato erano un'operazione dell'ala militare ufficiale di Hamas. Secondo Olmert, era possibile resistere sotto i razzi della Jihad e di altre organizzazioni minori, e per questo l'azione militare raccomandata da settimane è stata fermata. Ma un confronto con Hamas è un problema politico e militare di tutt'altra natura e proporzioni. Si imponev una risposta militare, che ha ottenuto un consenso diplomatico preventivo.

Da qui l'arresto di tutti i vertici dell'organizzazione.

Il problema adesso è la exit strategy. E' facile entrare in territori dove esiste un vuoto di potere, ma è difficilissimo lasciarli senza un'autorità a cui lasciare l'onere di mantenere l'ordine.

Allo stato, i possibili obiettivi dell'operazione potrebbero essere due

1) Infliggere pesantissime perdite ad Hamas, per poi negoziare un cessate il fuoco appoggiato a livello internazionale: fine delle uccisioni in cambio della fine dei lanci di Qassam. Manca però una forza come Hezbollah a garantire il cesste il fuoco.

2) Rovesciare il governo di Hamas e riconsegnare a Fatah la guida dell'ANP. Israele avrebbe la forz di farlo?

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La foto è di ......

Ostaggi

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Israele si trova davanti a una minaccia abbastanza inedita: quella degli ostaggi. Una tattica facile, alla portata di qualunque cellula terrorista. E che si è dimostrata emotivamente devastante per il paese. Il problema che si pone è quello eterno del negoziare o non negoziare. In Irak, la decisione di negoziare, e quindi di incentivare i rapimenti, ha finito per portare al ritiro di tutti i civili occidentali. Ma i civili israeliani non si possono ritirare. Per quanto straziante possa essere, Israele deve essere più dura di quanto sia mai stata in passato per combattere una minaccia che colpisce più facilmente, e forse ancora più duramente, di un attacco kamikaze. Un'articolo di Yediot Aharonot



The Palestinians also see that Israel doesn't really know how to deal with kidnappings. The principle that we don't negotiate with terrorists faded long ago. Israel has negotiated not only for living captives, but also for bodies and body parts – and has been willing to pay a steep price.


And here is the line that separates once-in-a-while kidnappings from a flood of such attacks. It sounds terrible, inhumane, un-Jewish, but the fact of the matter is this: If Israel can't stick to the principle of not negotiating with terrorists for hostages, it is inviting catastrophe. Because kidnappings are the most effective terror attacks there are.

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28.6.06

Summer Rain

Da Vital Perspective: notizie minuto per minuto dall'operazione terrestre di Gaza

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They did it again

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Dal Chicago Sun Times: Palestinians do it again -- miss a peace opportunity

By the time you read this, the Israelis may be conducting a major incursion into the Gaza Strip. The responsibility for this escalation in the Israeli-Palestinian conflict rests with the Palestinians who have yet again turned their backs on peace. Rather than take the withdrawal of Israel from Gaza as an opportunity to build a future for their children, they instead refused to relinquish their embrace of a culture of hate and death.

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M.C Escher "Print Gallery"

27.6.06

Il Comma 22 di Olmert

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OLMERT cannot allow a counter-terror offensive in Gaza because doing so will lead to international condemnation of Israel. It isn't the impact of the condemnation Israel's international standing that concerns him. Olmert cannot be condemned internationally because he promised that after Israel retreated from Gaza, the international community would accept any Israeli counter-terror offensives in Gaza. Ecco tutto l'articolo di Caroline Glick

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L'occhio di Escher

26.6.06

Missione compiuta?

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Un altro brutto sondaggio, stavolta sul Jerusalem Post


Adesso la maggiornza degli israeliani sembra opporsi al riallineamento.


Forse, gli attacchi continuati palestinesi da Gaza, e il conseguente crollo della sicurezza, sono riusciti a mettere la maggioranza degli israeliani contro ulteriori ritiri. E a bruciare un'altra possibilità di andare verso la pacificazione, e ovviamente verso lo stato palestinese.

Intanto i carri armati scaldano i motori per una maxioperazione terrestre su Gaza, se il soldato rapito non venisse rilasciato. Per andare avanti col "riallineamento", Olmert dovrà essere capace di mostrare che Israele non ha perso la sua capacità di deterrenza. Ma in questo modo, l'escalation militare rischia di divorarsi i piani di ritiro.

Speriamo che gli attivisti palestinesi non siano riusciti a compiere la loro missione.

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La foto è di Yves Lafon

22.6.06

Non sono solo nell'universo!

Disgustato dall'incompetenza dell' amministrazione Bush, ma convinto che un ritiro oggi sarebbe una vittoria dell'islamismo fascista e ci metterebbe tutti in una posizione molto peggiore di quella del 10 settembre 2001. La mia posizione sull'Irak è la ricetta sicura per litigare con chiunque. Oggi, finalmente ho trovato in Andrew Sullivan uno che la pensa esattamente come me! Hurrà, c'è vita nell'universo!

If a Democratic candidate emerged who promised to stick to the Iraq war to victory, but conduct it in a more aggressive, ethical and competent way than the current crew, Americans would be more than receptive. Such a position would also help them expose the scandalous incompetence in the White House, while not being vulnerable to charges of defeatism. It won't happen, alas.

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Povero Shas



Ottime notizie, secondo me, per il pluralismo ebraico.

Mentre Haavodah è tradizionalmente associato coi Reform, adesso due partiti al governo (pensionati e Kadima) si associano al movimento internazionale dei conservative nella WZO. Il Jpost riporta il discorso di Olmert, in cui si dà credito al movimento Consrvative di seguire la "Via d'Oro" descritta da Maimonide.

Lo Shas è furente, anche perché -se le forze di governo dovessero tenere fede ai loro impegni- dovrebbero aprirsi nuovi spazi per gli ebrei non ortodossi, ad esempio nei mikvaot (ehi, è il tema del giorno) gestiti dallo stato, che in questo momento sono chiusi a reform e conservatives.

Dal giornale forward:

JERUSALEM - The Israeli movements for Conservative and Reform Judaism are protesting disparaging statements made last week by the government minister in charge of religious affairs, Yitzhak Cohen of the ultra-Orthodox Shas party, who dismissed non-Orthodox conversions as "virtual" and undeserving of ritual immersion in publicly funded ritual baths.

Taglio gli apprezzamenti insultanti formulati dal ministro.

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La foto è di Man Ray

21.6.06

"Provocatore", "Cretino","ignorante coglione!"



Ha creato qualche sturbo a qualche idiota antisemita in giro per il mondo, e già questo me lo rende simpatico. Ha fatto schiumare qualche piccolo indiano su IPI (gli appellattivi del titolo sono tutti firmati dal compagno n3tgan3sh, che gli amanti del genere potranno veder fare il botto in questo thread), e questo è indubbiamente divertente. Ha creato problemi ai burocrati dello sport, e questo me lo rende ancora più simpatico. Ma se è vero che il gesto ha riscaldato i legami tra comunità ghanese e israeliani, e che molti israeliani adesso hanno una squadra per cui tifare, beh allora Parsil mi diventa simpaticissimo. Il Jpost parla molto e bene dell'idillio tra Ghana e Israele.
Occhiali molto meno rosa nel commento di un lettore di Haaretz:

Did you notice how the article enbded by saying that Israel finished "third in its European qualifying group." Excuse me?? israel is not in Europe, it is in the Middle east.

Perhaps Haaretz should explain to readers why a Ghana player has to wave the Israeli flag and not someone from Israel proper. It is because 1) the Arab teams like Saudi, Iran, etc. refuse to play against Israel and 2) the soccer league allows them to do this. Therefore Israel must play Italy, France, Spain, Germany etc.
Instead of hiding behind a cowardly sense of pride that someone from Ghana has the guts to wave our flag, Israle should enforce the rules of sportsmanship and insist on being allowed to compete against its regional teams, and they should either play or be given a forfeit.

Meanwhile, the Arab players who qualified within their own region are enjoying the World Cup and Israeli players who would have qualified get to sit home and watch.

Pathetic Israelis, wake up.

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La foto è presa dal Jerusalem Post

20.6.06

Americano quanto la torta di mele

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Cristopher Hitchens sulla storia, la tipicità e la dignità politica del pompino.

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La foto è di Garry Winongrand

19.6.06

Uno Shabbat a Karlovy Vary

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Di tanto in tanto mi capita di trovarmi a Karlovy Vary. Col suo nome tedesco di Carlsbad fu una località termale aubsburgica, poi diventata cecoslavacca. Fu sede di una numerosa e fiorente comunità ebraica fino al 1937, quando, durante la crisi dei Sudeti, tutti gli ebrei locali lasciarono in fretta la città. E a buona ragione, visto chela sinagoga monumentale di fronte alla quale avevano stazionato le carrozze dei Becher e dei Moser fu immediatamente data alle fiamme e distrutta, nel 1938.

La comunità è stata ricostituita dopo la guerra. Stavolta molto poco numerosa e ancor meno fiorente. E, come tutti i cittadini (ma forse un po' di più) ha dovuto sopportare la lunga parentesi grigioferro del regime comunista, che per circa cinquant'anni le ha impedito di avere un rabbino. Oggi, Karlovy Vary è un incantevole e coloratissima località di villeggiatura e se non fosse per qualche cicatrice architettonica che non sfugge ad un occhio allenato, sembrerebbe aver vissuto secoli di spensierata e ininterrotta felicità. Giù in basso, lungo il torrentello che divide la deliziosa cittadina, è addirittura pieno di frecce che indicano "Synagogue", con un indirizzo. E' uno dei segni di simpatia per la sparuta comunica ceca che il regime democratico di Havel ha voluto lasciare, in contrasto con la politica silenziosamente ma inequivocabilmente antisemita del vecchio regime comunista.

E' anche marketing azzeccato, pensavo, visto che la cittadina mitizzata in tutto il vecchio mondo sovietico come destinazione dei più prestigiosi viaggi premio della nomenklatura, pare oggi frequentata da numerosi israeliani (ex-russi?), almeno a giudicare dai cartelli con il cambio in Shekel, da qualche gioiello ebraico in vetrina accanto a quelli cristiani, dalla enorme Hannukkiah d'argento ben lavorato che si vede nella vetrina di un gioielliere del centro.

Un giorno di qualche anno fa seguendo le indicazioni delle frecce, mi sono inerpicato sulla collina dietro a quel dinosauro di regime chiamato Hotel Thermal: un monoblocco di cemento armato in stile comunista-babilonese al cui confronto gli ecomostri pugliesi appaiono come gioielli di Le Corbusier. Ecco, solo due lunghe curve più su, appena all'interno del bosco c'era un palazzetto di cemento un po' triste ma decoroso, con una bella insegna blu in ebraico che nel frattempo ho imparato a leggere: "Beit Knesset". Avevo dato un'occhiata dentro: oltre ad ospitare uffici e gabinetti medici, era anche la sede piuttosto frugale ma spaziosa della ricostituita comunità ebraica: da un lato c'erano gli uffici, dall'altro l'ingresso alla sala del Tempio. Era un giorno feriale ed ero salito solo per curiosare e così me ne ero andato senza parlare con nessuno, pensando che prima o poi ci sarei tornato in un momento più favorevole.

L'ho fatto questo Shabbat. Era il giorno giusto per essere lì. Avevo la perfetta congiunzione astrale per mollare clienti e soci ai loro festeggiamenti sportivi e così mi sono alzato un po' più presto di quello che amerei fare di sabato. Ignorando il grado di osservanza della locale comunità, ma supponendolo non ossessivo, ho preso lo zainetto e ci ho messo dentro il tallet (già che porto, mi porto almeno un tallet della mia misura, ho pensato), una Torah Di Segni (ovvero con la preziosa traduzione in italiano). Ho invece lasciato nella camera d'albergo il siddur. Ormai sono abbastanza in grado di seguire un servizio ortodosso in ebraico nei vari riti. E il mio libro di preghiere reform immaginavo non sarebbe stato di alcuna utilità per districarmi nel puro shachrit shabbat ashkenazita che pregustavo con piacere. Avrei in ogni modo trovato al tempio tutto quello che poteva tornarmi utile.

Ho ripercorso quasi a colpo sicuro i passi che avevo mosso con qualche esitazione topografica anni fa. Anzi, ho trovato d'istinto una scorciatoia nel boschetto che mi ha permesso di risparmiare un tornante piuttosto lungo e così, molto prima di quanto mi aspettassi, mi sono ritrovato di fronte al palazzetto che ricordavo. Ancora un po' più triste, questa volta, perché della scritta "Beit Knesset" era rimasta solo la prima metà: la seconda parte dell'insegna persa chissà dove.
Ho salito in perfetta solitudine i pochi gradini di graniglia, percorrendo con la mano la ringhiera su cui fioriva un po' di ruggine, ma non troppa. Tutto sommato in armonia con lo stato della costruzione. Sotto la piccola tettoia in cima alla scaletta, accanto al portoncino di metallo e vetro in stile condominiale, mi sono fermato a guardare la bacheca di vetro. Il calendario ebraico era aggiornato, i cartelli erano sempre al loro posto. Bene. Mi sono sentito sollevato dalla strana sensazione che la quiete forse eccessiva aveva cominciato a procurarmi senza che me ne accorgessi. Ero salito indossando la kippah attraverso i sentieri che dal Thermal attraversavano il boschetto e in quell’ora che, dopo tutto, era in quasi ogni sinagoga del mondo l’inizio di shachrit shabbat, non avevo incontrato nessuno che sembrasse diretto come me alla sede della Comunità. Ora però, davanti al calendario con gli orari di accensione delle candele, del tallet, dello shemà, tutto sembrava tornare a posto.

Il portoncino era chiuso. Non si tirava, non si spingeva, La maniglia non girava. No, era assolutamente e inequivocabilmente chiuso. Chiuso su un palazzetto inanimato. Ero fuori dalla sede in cui non si intuiva vita, se non un calendario ebraico, che ho ricontrollato, trovandolo di nuovo perfettamente aggiornato, e un posacenere a colonna sotto la tettoia, inzeppato di mozziconi. Era troppo presto? Forse, per quanto strano, le abitudini della comunità locale erano improntate ad una lentezza di messa in moto mattutina che non mi era ancora capitato di incontrare al di fuori della mia comunità.

Però il calendario ebraico era aggiornato. Segno di vita forse non vivacissima, ma inequivocabile. Non era il caso di perdere la fiducia. Spalle al portoncino mi sono fermato ad ammirare il bosco che scende verso il torrentello, perdendomi nei puntini rosa gialli e azzurri degli edifici teresiani che lo costeggiano, e dove tra poche ore si sarebbe svolta la gara di canoe, ragione della mia presenza in città.

Non so quanti minuti erano passati quando alle mie spalle ho sentito una voce amica: "Shabbat shalom!". Un omone, suppergiù delle mie dimensioni che al posto della kippah indossava un copricapo di lana grezza che a occhio definirei tagiko, mi stava invitando ad entrare nel portoncino. Avevo fatto bene a non andarmene. "Shabbat shalom", gli ho risposto tendendogli la mano, in quella che sarebbe rimasto l'unico scambio verbale articolato di quella strana mattinata. Mentre cercavo di informarmi sull'orario d'inizio di shachrit, è stato immediatamente chiaro che eravamo divisi sia dall'ebraico colloquiale, che dal russo, che dall'inglese, che dall'italiano, nessuno dei quali raggiungeva il numero minimo di parlanti necessario alla comunicazione.

Sono entrato nel tempio, che l'uomo mi aveva spalancato con grande cortesia. Ero assolutamente solo: la bimah davanti, la mechitzah alle spalle, l'aron di fronte, le pareti tappezzate di libri, grandi tavoli per lo studio. Il neir tamid acceso. Talleisim a forti strisce nere e blu, appoggiati un po' dappertutto, specialmente sulle ringhiere della bimah. L'uomo mi aveva lasciato lì, ancora una volta da solo.

Come prima cosa, ho cominciato a curiosare tra i siddurim e i chumashim. Un po' per vedere che cosa si offriva al pubblico che immaginavo estremamente cosmopolita di quella sinogaga, un po' per procurarmi qualcosa di utile, magari con traduzione in qualche lingua conosciuta, che mi guidasse attraverso i salti e le svolte brusche che i chazanim non si fanno mai mancare, nel tentativo di scrollarsi di dosso e seminare lungo il servizio il resto del minyan. E certamente me.

La scelta è caduta su un siddur un po' consunto, stampato a New York nel 1959, e di apparente impostazione conservative, visto che la beracha "lo assanì ishah" (ma non le altre) era stata sostituita da altra più palatable. E in quel siddur, di nuovo, mi sono perso per un tempo che non saprei determinare.

Ammiravo la legatura, provata dall'uso ma ancora solida, la copertina dai margini sfilacciati che lasciavano apparire il cartone sotto la tela blu scura e le pagine, che erano state percorse innumerevoli volte fino a raggiungere uno stato quasi traslucido. Cercavo soprattutto di identificare i punti salienti del servizio, capire la struttura non razionalissima che era stata
data al libro: un approccio cervellotico che -mi era chiaro- mi avrebbe costretto di lì a poco a saltare avanti e indietro per le pagine, col rischio di perdermi in modo definitivo e irrimediabile.

Dopo un tempo imprecisato di immersione e concentraziome, ho sentito tornare l'omone che mi aveva aperto. Mi ha guardato per un attimo dalla porta del tempio e vedendomi assorto nello studio, se n'è andato una seconda volta, e non saprei dire dove si sia diretto. Ormai, a quell'ora, persino la mia sinagoga sarebbe stata brulicante di attività. Ho deciso di avvolgermi nel tallet e di cominciare se non altro le benedizioni del mattino e i salmi preliminari, che avrei sempre potuto ripercorrere dopo. Esaurite tutte le possibili introduzioni e antefatti al servizio, però, la sinagoga era altrettanto deserta di quanto fosse prima.
Ho continuato a dire Shachrit, un po' in silenzio, un po' cantillando a bassa voce il nusach che è familiare a me, ma che quei muri forse non avevano mai sentito. Ho letto in silenzio la Parashà. Sono arrivato ad Adon Olam e continuavo ad essere l'unico frequentatore della sinagoga e forse l'unica persona all'interno del palazzetto, insieme al mio amico dal copricapo tagiko, che però non ho più visto.

Ho piegato il tallet e l'ho rimesso via. ho visitato l'atrio del tempio, osservando le foto raccolte in pagine sottovetro incardinate al muro, un po' come si vedeva nei vecchi negozi di dischi. L'ufficio del rabbino, vuoto. I corridoi, vuoti. Anche il mio amico era scomparso. Ho richiuso la porta con attenzione. Ho sceso la breve scala, mi sono guardato indietro. Ancora nessuno. Ho attraversato di nuovo il bosco, ho ripercorso il lungofiume e quasi immediatamente mi sono ritrovato nella mia camera d'albergo con ore di anticipo su un servizio che supponevo sarebbe stato lunghissimo. Per l’arrivo delle canoe c'era ancora molto tempo.

Sono tornato a letto, come se quella mattina non mi fossi nemmeno mai alzato.

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La foto è di Andras Kertesz

15.6.06

Il mondo è bello perché è vario

In contrasto al mio peana ad Amir Peretz, Gideon Samet su Haaretz di questa mattina fa impietosamente a pezzi il nuovo ministro della difesa. Chi sarà, tra me e lui, a non aver capito un cazzo?

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14.6.06

Know your chicken

Sorridi, sei sul TBLOGVale la pena di fare altre lodi ad Amir Peretz?

La "grande speranza sefardita", il sindacalista duro e puro che molti temevano avrebbe portato Haavodà troppo a sinistra.

L'attivista di Peace Now, paracadutato nella sorpresa generale al ministero della difesa.

Mentre Peretz si affacciava sulla scena, mi capitò di scrivere che la grande novità era che la sinistra laburista, riprendendo la bandiera sociale, cessava di identificare "più di sinistra" come "più colomba", cioè con la china che ha portato tutti i nuovi immigrati tra le braccia del Likud. E il Labour al declino e alla marginalità politica.

A questo atteggiamento realista, né da falco né da colomba, ha certamente contribuito l'origine marocchina di Peretz, cioè l'appartenenza a una comunità che ha conosciuto la vita sotto i regimi arabi, ne conosce la mentalità, è meno disposta ad inutili giri di valzer sotto i riflettori, che vengono costantemente e disastrosamente intesi in modo opposto dalle controparti.

Essendoci cresciuto in mezzo, Peretz sa che nella cultura araba le parole, le affermazioni, le dichiarazioni di intenti hanno un codice espressivo preciso. "Io farò", non significa nulla.
Un impegno non è un impegno se non viene ribadito, sottolineato, ripetuto, rilanciato, risottolineato con corollario.

Ed è quello che Peretz ha fatto giovedì, non solo dicendo che Israele non avrebbe più accettato il lancio di razzi su Sderot, una città che si avvia a diventare fantasma. Ma che il tempo della tolleranza era finito, esaurito, concluso. Non l'ha solo detto, così. Ha precisato che l'IDF era pronta a lanciare operazioni su larga scala per reinvadere parte di Gaza e disarticolare il potere di Hamas. E non l'ha solo pronuncito davanti a un microfono. L'ha fatto sapere per canali riservati ai papaveri di Hamas, si è accertato che il messaggio arrivasse a destinazione in tutta la sua ricchezza e nella più viva chiarezza.

Hamas ha testato il messaggio e i razzi sono partiti lo stesso. L'IDF ha risposto con l'artiglieria. L'incidente della spiaggia è tragico e niente affatto chiaro. Esiste una robusta possibilità che sia stato causato da una mina palestinese e non dal fuoco israeliano, come illustra questo resoconto di HaAretz (il migliore pubblicato fino ad ora) Ma comunque siano andate le cose, certo Peretz non si è fatto intimidire da minacce e proclami e ha continuato a colpire i lanciatori sia dal cielo che da terra, anche a costo di provocare altre vittime. E soprattutto, ha continuato ad affermare (e dimostrare) che nessun incidente, per tragico che fosse, avrebbe fermato l'IDF dal compiere il suo dovere di fermare gli attacchi sul proprio territorio.

A questo punto i razzi, per la prima volta in questi mesi si sono fermati.

[Ecco la notizia da Haaretz]

A fermarli, non è stata la violenza della risposta, che non è inedita. E' stata la chiarezza cristallina, addirittura ridondante, del messaggio lanciato da Peretz alla controparte palestinese. Un messaggio lanciato da uno che conosce i suoi polli.

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12.6.06

Gaza, massacri, mostri, prime pagine



Talvolta basta poco per costruire un mostro.

Il mostro che spara cannonate a sangue freddo su una spiaggia affollata, dove i cittadini di Gaza stanno cercando ristoro dal caldo di in un giorno di festa.

Per decidere chi e come ha sterminato un'intera famiglia, lasciando solo un bambino piangente sul corpo del padre è bastato un lancio del "Palestinian Centre for Human Rights": una nave da guerra israeliana che spara sette colpi consecutivi in mezzo alla folla.

Si commenta, si condanna, ci si indigna.
Si scrivono articoli sul Guardian, sull'Indipendent. Naturalmente su Repubblica, La Stampa... (inutile dar conto dello Straccio®, dove per pubblicare di queste cose non è strettamente necessario che sia successo qualcosa). Si almanacca sulla fabbricazione italiana del cannone navale.

Poco importa che a gettare qualche prima ombra sulla credibilità del report ci sia il modo stesso in cui vengono definite le forze di difesa israeliane dal lancio del PCHR "Forze di Occupazione Israeliane"

Poco importa che ci siano quasi venti minuti di differenza tra il momento in cui il PHCR denuncia che sarebbe avvenuta la strage e il momento in cui l'esplosione è effettivamente avvenuta. Poco importa che le immagini della nave che spara fossero di un momento molto precedente l'esplosione e che nel frattempo, il tipo di ferite e altre prove abbiano permesso di escludere la responsabilità della nave.

Dev'essere allora fuoco di artiglieria.

E poco importa che l'esplosione sia avvenuta circa dieci minuti dopo il cessate il fuoco d'artiglieria contro i lanci di Qassam (cfr. il comandante del quadrante Sud Yo'av Gallant).

Poco importa che Amir Peretz, leader del labour, attivista di Peace Now, l'eroe di sinistra di quella stessa opinione che reclamava un cambio dalla gestione militarista del governo Sharon (sì, quell'Amir Peretz che nel frattempo è diventato ministro della difesa), chieda sin da venerdì di aspettare ad emettere giudizi, visto che dalle prime indagini sembra che la responsabilità israeliana nella strage non sia affatto sicura (cfr. Haaretz di venerdì)

Poco importa che, se la nave non è stata e se la responsabilità fosse dell'artiglieria manchino ancora all'appello un cratere da 155 e i resti degli shrapnel (la propaganda palestinese ha mostrato ampie immagine dei cadaveri insanguinati, ma nessuna delle consuete "evidenze" di cui operatori e giornali vanno ghiotti). Poco importa che i miliziani armati siano arrivati sul posto prima della polizia. Poco importa che un ufficiale israeliano sostenga che esistono immagini di una piattaforma di Qassam che si inclina, ed esplode causando la detonazione di una pila di razzi esplosivi destinati ad Ashkelon. Poco importa anche che i palestinesi si rifiutino di cooperare alle indagini.

Poco importa che per Occam la possibilità che la strage sia stata causata da un colpo di artiglieria IDF finito fuori bersaglio oppure da un Qassam finito fuori rotta siano ancora equivalenti (e questo senza voler nemmeno considerare le ipotesi complottiste della strage autoinflitta).

No, pare che non importi un cazzo.
Quello che conta è che ci siano molte prime pagine e un mostro troppo lungamente atteso, dopo un ritiro e mesi di bombardamenti condotti da dietro lo scudo dei civili, ma infruttuosi nel produrre la desiderata strage di innocenti.

Poco importa cosa è successo. L'importante è che sia successo.

Per chi non si accontenta:

Ecco un report molto equilibrato sui possibili scenari, di Yediot Aharonot.

Ecco un pezzo che sostiene, con molta vis polemica e qualche argomento, la responsabilità palestinese. Da Israel News Agency.

Il debugging del report del POHR, la fonte della stragrande maggioranza degli articoli di stampa che hanno immediatamente condannato Israele

Come la propaganda palestinese ha addossato la responsabilità ad Israele. Da Arutz Sheva.


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La foto è di ......